L’innocenza perduta e tradita di Saul

Giudicato subito come un’assoluta rivelazione all’ultimo Festival di Cannes, poi insignito del Gran Premio della Giuria e osannato come un capolavoro dalla critica di tutto il mondo, “Il figlio di Saul“, diretti dall’esordiente regista ungherese László Nemes, è uno degli eventi cinematografici più attesi della stagione.

 

Saul Ausländer (Géza Röhrig) fa parte dei Sonderkommando di Auschwitz, i gruppi di ebrei costretti dai nazisti ad assisterli nello sterminio degli altri prigionieri. Mentre lavora in uno dei forni crematori, Saul scopre il cadavere di un ragazzo in cui crede di riconoscere suo figlio. Tenterà allora l’impossibile: salvare le spoglie e trovare un rabbino per seppellirlo. Ma per farlo dovrà voltare le spalle ai propri compagni e ai loro piani di ribellione e di fuga.


 

Il film uscirà con Teodora Film dal 21 Gennaio 2016 e all’anteprima milanese noi c’eravamo con la nostra inviata Anna Baisi.

 

Il film di esordio di László Nemes “Il figlio di Saul” è una pellicola di forte impatto emotivo e lascia il segno, lo ha lasciato anche a Cannes, dove ha vinto il Gran Prix della Giuria, direi più che meritato perché ci vuole un gran coraggio ad affrontare la Shoah, tema scottante, difficile da rappresentare in maniera esaustiva per i rimandi storici e soprattutto morali: visti i risultati, chapeau!
Il film è ambientato ad Auschwitz-Birkenau, anno domini 1944 e già il nome del luogo ci atterrisce, è forviero di orrore, perché nell’immaginario collettivo rappresenta il campo di concentramento più nefasto.
Saul Ausländer, il protagonista (interpretato magistralmente dall’attore Géza Röhrig, maschera attonita, annichilita e spettrale) è un deportato ebreo ungherese che fa parte del Sonderkommando una sorta di “esercito” istituito dalle SS e costituito da prigionieri ebrei che avevano il compito di aiutarli nell’attuazione della cosiddetta “soluzione finale” per poi anch’essi subire la medesima sorte.
Questo “esercito”, manipolo di poveri disgraziati, doveva: rassicurare, preparare le vittime al “trattamento”, ripulire i luoghi dopo, bruciare i “pezzi” – così i nazisti chiamavano i cadaveri – e disperdere le ceneri nell’acqua.
 
Saul eseguiva, “vittima” alienata, indifferente allo sterminio per abitudine, immerso in una lucida follia dettata dal delirio osceno e criminale del campo.
Questo periodo terrificante della Storia è reso da László Nemes in modo angoscioso e angosciante in virtù di una cifra stilistica unica che grazie alla particolarità delle riprese e all’uso sapiente delle immagini e del sonoro ci precipita negli inferi.
La macchina da presa non dà tregua a Saul inquadrandolo in primi piani, nel dettaglio, in ciò che egli vede: in una sorta di semi-soggettiva che fa coincidere lo sguardo del protagonista con quello di noi spettatori che veniamo trascinati in questo inferno in terra davvero insostenibile.
Le grida ed i lamenti delle vittime, i vagiti dei bambini, le urla dei carnefici si mescolano ad immagini parzialmente mostrate o intraviste in una semioscurità che suggerisce più che definire ed impressiona ancor di più perché avvertiamo l’apocalisse: il trionfo del male assoluto.
 
Ma dal male Saul si risveglia quando “riconosce” in un giovane che si è salvato, seppur per pochi minuti, dal “trattamento” quell’innocenza che lui ha perduto e tradito.
Quel giovane potrebbe essere suo figlio, Saul anzi ne è convinto e lo dichiara con fermezza ai suoi “compagni”, non sappiamo se sia vero anzi sicuramente è più un suo desiderio che realtà ma questo è solo un dettaglio, l’importante è che ora Saul sa quello che deve fare: onorare la morte del fanciullo con il rito della propria religione, cercare freneticamente un rabbino che reciti il Kaddish e poi dargli una degna sepoltura.
Perduto nella sua ossessione salvifica Saul fallisce anche una missione affidatagli dal Sonderkommando che sta organizzando la fuga dal campo, si aggrega ma è ormai indifferente anche alla propria sopravvivenza, porta con sé il cadavere del ragazzo, vuole rendere sacra la morte di quel “figlio” nato da una ritrovata umanità e quel pensiero lo fa sorridere, un sorriso indimenticabile: l’unico dell’intero film.
L’idea di salvare un corpo dallo scempio, rendendogli omaggio con la sepoltura, sembra poca cosa di fronte ai milioni di altri morti dispersi, ma ad Auschwitz-Birkenau, anno domini 1944, seppellire un “pezzo” era la vera essenza dell’umanità: il risveglio dell’uomo dalle proprie stesse barbarie.

 

E in attesa dell’uscita nelle sale ecco il trailer.

 


 

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