Un giorno devi andare

Protagonista dell’uscita di mercoledì il terzo film del regista bolognese Giorgio Diritti conferisce il ruolo di protagonista alla giovane attrice italiana Jasmine Trinca.

Qui di seguito lo spazio dedicato ai vostri commenti e alle vostre opinioni.

 

Dati Tecnici

Regia: Giorgio Diritti
Con:  Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Sonia Gessner, Pia Engelberth
Durata: 110 minuti

 

Trama del film
Dolorose vicende familiari spingono Augusta, una giovane donna italiana, a mettere in discussione le certezze su cui aveva costruito la sua esistenza. Su una piccola barca e nell’immensità della natura amazzonica inizia un viaggio accompagnando suor Franca, un’amica della madre, nella sua missione presso i villaggi indios, scoprendo anche in questa terra remota i tentativi di conquista del mondo occidentale. Augusta decide così di proseguire il suo percorso lasciando la comunità italiana per andare a Manaus, dove vive in una favela.

Trailer
http://youtu.be/CS538-o7yRA

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  1. Cristina Savatteri scrive:

    Questo film mi ha offerto la possibilità di contemplare paesaggi meravigliosi che trasmettono una pace e profonda serenità.
    Concordo con Cristina B., nel film manca un filo rosso che congiunge la trama, tutto ciò non mi ha permesso di gustarlo pienamente.
    Mi è piaciuta la ricerca di Augusta della propria dimensione attraverso la contemplazione di questi paesaggi: il piacere di ri-trovare un rapporto profondo con una natura incontaminata e che solo alcuni
    ” luoghi” , con culture e linguaggi diversi dal nostro, riescono a restituire.
    Il bello di ritrovarsi attraverso le piccole cose, una corsa con i bambini della comunità, un gioco in spiaggia con un bambino ed altro..
    La storia mi ha restituito la bellezza dei piccoli dettagli, gesti che alcune culture preservano, e che sono un valore aggiunto inestimabile , a parer mio, in questo film.

  2. Elena Costa scrive:

    A me questo film è piaciuto, anche se ne ho visto alcuni limiti.
    Partirei dalla fine, la bellissima preghiera della donna indios che non ha come soggetto un vero Dio ma solo l’essere umano nella sua grandiosa semplicità. La stessa che Augusta va cercando, e solo quando si libera di tutto riesce a ritrovare se stessa. Anche l’iniziale senso di colpa che prova per la sua incapacità di procreare va in parallelo con il senso di colpa tipico del cattolicesimo.
    Molti temi riguardanti la religione e l’evangelizzazione vengono toccati e proposti nel film, ma non approfonditi secondo me. Mentre la religione dei popoli tribali è solo pura poesia legata alla natura, considerando anche che loro non avrebbero minimamente bisogno di alcun artificio cristiano. Molto bella la fotografia, l’Amazzonia, vera protagonista, coi suoi ritmi legati per lo più all’acqua che è anche simbolo materno e di purificazione, le piogge improvvise e violente…, acqua che porta cibo o che distrugge le favelas, acqua che porta via lo sporco, molto simbolico.
    Mi è piaciuto molto rivedere Manaus e la maestosa unicità del Rio delle Amazzoni che anch’io ho navigato molto in piroga come Augusta. E poi, sia per Augusta che scappa in Brasile, che per la ragazza Indios che viene portata nel convento in Italia, la verità è che il nostro bagaglio ci segue, ovunque si vada e che la luce dentro di noi arriva nei modi più banali e con naturalezza.
    Non avendo mai provato in vita mia senso materno e desiderio di avere figli la protagonista è lontana da me anni luce, quindi mi è molto piaciuto il discorso intorno ad essa più che il tema di base che ho trovato un po’ esagerato, confuso. Un film che doveva sicuramente durare meno. Le mie emozioni si sono avvicinate maggiormente alla mente indios e a quella come sempre del viaggio.

  3. Omer Loncours scrive:

    la contrapposizione dei nostri commenti credo dipenda dall’interpretazione dei silenzi. Il film racconta per sottrazione lasciando che le emozioni nascono dalle immagini e dai silenzi. Le emozioni poi dipendono da quello che abbiamo dentro e da quello che riusciamo ad ascoltare.
    Ma c’è un ultimo aspetto che volevo evidenziare e che è forse la cosa che mi è piaciuta maggiormente.
    Nel mondo occidentale abbandoniamo i vecchi e lasciamo che giovani badanti, perlopiù straniere, si occupino di loro, nel mondo amazzonico sono i vecchi che si prendono ancora cura dei giovani non abbandonandoli al loro dolore.

    • Cristina Bellosio scrive:

      Lavoro da anni con famiglie straniere, provenienti da disparati paesi del mondo. Ne abbiamo ancora di strada da fare nel mondo occidentale per comprendere più a fondo il cosidetto Terzo mondo e superare visioni idealizzate di queste realtà….anche nel film di Diritti il mondo indigeno mi appare come fortemente idealizzato… ci vorrebbe più senso di realtà per superare visioni stereotipate e pregiudiziali…quando supereremo l’idea stereotipata delle comunità indigene come mondi di perfetta solidarietà da contrapporre all’egoismo del mondo occidentale ??!!

  4. Cristina Ruggieri scrive:

    MI è piaciuto molto questo viaggio alla ricerca della spiritualità perduta. E del resto, come si fa a trovare conforto in una religione fatta di statue e santini che ci parla di sacrificio e di morte, che mortifica in ogni sua manifestazionela la bellezza e il piacere della vita? Il montaggio alternato tra ciò che accade in Italia e l’Amazzonia restituisce un mondo occidentale in cui predomina la tristezza e il senso di morte e un mondo indios povero ma colmo di energia vitale. E quando i due mondi si incrociano, attraverso l’opera dei missionari italiani in Amazzonia, Diritti filma per noi i volti perplessi degli indios che non capiscono, non apprezzano, non vogliono la trasformazione del loro mondo secondo i modelli occidentali.
    E la loro perplessità diventa fastidio agli occhi di Augusta che ne vede la prepotenza distruttrice. Di valori, prima ancora che di alberi e foreste. Quei valori di comunità che la aiuteranno a ritrovare il senso di appartenza al flusso vitale fatto di lavoro condiviso, piccoli piaceri, spensieratezza.
    Ma anche questa volta i falsi valori del denaro e delle comodità distruggeranno il piccolo mondo che Augusta si era creato. E sarà ancora un uomo che per soldi venderà il bambino dell’amica, facendole rivivere il dolore dall’altra parte del mondo. Eppure questa volta l’acqua, il vento, la pioggia, la sabbia, e alla fine l’abbraccio di un bimbo, riporteranno Augusta alla vita. Perchè la spiritualità della vita, legata alla natura, al corpo, all’amore non può non riconoscere la bellezza e l’amore riportando speranza là dove c’era dolore. Esemplare in questo senso è la bellissima la preghiera che l’amica brasiliana cui Augusta ha regalato il viaggio in Italia, recita sul corpo di una donna morta in ospedale. Una preghiera che è un ringraziamento allo spirito della vita, e non certo una preparazione all’aldilà: “grazie alle tue mani che hanno cucinato e accarezzato, grazie al tuo sesso che ha regalato piacere e gioia, grazie al tuo ventre che ha donato la vita, grazie al tuo cuore e alla tua anima che hanno amato”.
    Come non notare infine la forza delle donne che con la loro energia cercano di conservare la vita e resistono alle distruzioni sempre e comunque compiute dagli uomini: gli uomini spezzano relazioni, abbattono la foresta, sradicano abitudini, ordinano demolizioni forzate, vendono bambini. Ha detto Diritti:”la Storia ci racconta di uomini che inseguendo la potenza e l’orgoglio hanno generato grandi catastrofi. Le donne, invece, sono preziose perché accolgono e sono il tempio della vita”. Ecco, questo film ci parla anche di questo. Ricollegandosi idealmente a “L’uomo che verrà”.

    • Annafranca Geusa scrive:

      Concordo sulla bellezza della preghiera india e sulla sua semplice profondità, e su tanti pezzi del film intensi, tuttavia a me sembrano camei che poco spiegano del senso del film e che probabilmente è più facile interpretare dopo aver letto interviste e intenti del regista ma che, a mio avviso, non è facile cogliere nella frammentazione e nella sensazione di sterile ridondanza di immagini che il film mi ha lasciato.

    • Cristina Bellosio scrive:

      Mi trovo d’accordo con l’intento espresso da Giorgio Diritti di dare rilevanza alla forza e all’energia delle donne…..Il personaggio di Augusta, però, rimane a mio parere un personaggio sbiadito…non so se per colpa della Trinca, che sembra molto distante dal personaggio che interpreta o per la frammentazione narrativa…

  5. Cristina Bellosio scrive:

    Dopo aver espresso la mia delusione per i molti aspetti di incompletezza e di frammentazione della narrazione di Diritti, voglio sottolineare, però, un aspetto che ho molto apprezzato nel film, ossia la volontà di guardare con aria critica l’opera missionaria in Amazzonia. L’intento critico culmina nell’impietosa descrizione di un missionario-manager: Così dice lo stesso Diritti “Il personaggio è ispirato a un missionario che ho incontrato, con la mentalità dei bianchi colonialisti. La Chiesa cattolica ha fatto anche cose devastanti, costruendo cattedrali nel deserto. Da questo punto di vista è profondamente sporca e bisogna dirlo.”

  6. Omer Loncours scrive:

    Il nuovo film di Giorgio Diritti è un viaggio che non si riesce a comprendere se non si arriva fino in fondo. Un viaggio attraverso due culture, due stili di vita, due filosofie di pensiero.
    Augusta parte per un viaggio dopo un grave lutto, un po’ perché partire è come morire. Va alla ricerca di se stessa attraverso una religione in cui non crede confrontandosi con un mondo estremamente lontano, sia fisicamente che moralmente. Le sue incomprensioni sulla religione sono le stesse degli Indios, che si sentono obbligati a riti che non comprendono, ma questa è forse l’unica analogia, perché in questo viaggio con immagini mozzafiato Diritti vuole evidenziare tutte le contraddizioni di questi due mondi. La società Italiana (occidentale) dove si è soli in mezzo alla gente, dove esiste una comunità di fatto, ma non esiste più condivisione, dove la spiritualità è dogmatica e da ricercare nel passato. La comunità degli indios, dove la comunione è reale, dove l’identità culturale ti segue anche quando sei sola o lontana, dove la spiritualità è legata la presente ed al tuo rapporto con quello che ti circonda. Una cultura che guarda ai morti (la nonna che dice che il suo momento è arrivato) contro una cultura che guarda ai vivi (dove i bambini si fanno con chi capita). Il tutto presentato in modo crudo e diretto, pochi dialoghi e tante immagini, ma la vera nota del film, quasi neorealistico, è l’assoluta mancanza di speranza. Se è condivisibile che per trovare delle risposte bisogna cercarle dentro di noi, è anche chiaro che il messaggio è che per trovarle serve una solitudine, fisica per Augusta, culturale per la indios. Un film triste e forse un po’ troppo lungo.

    • Cristina Bellosio scrive:

      A mio parere, il tema della contrapposizione tra due mondi ( quello occidentale e quello della cultura Indios) è molto interessante, ma non convincente. L’intento documentaristico si perde in una visione del popolo Indios troppo semplificata e didascalica, scarsamente antropologica…mi chiedo se il mondo degli Indios nelle palafitte di Manau è davvero solo quello che vuole raccontare Diritti…un mondo pieno di sorrisi, forte di rapporti di solidarietà comunitaria, ma facilmente corrompibile dalla proposta di guadagno facile…mi sembra una visione davvero troppo semplicistica., dettata da pregiudizi occidentali…

      • Cristina Ruggieri scrive:

        E il mondo descritto nell’Uomo che verrà è davvero la Marzabotto dell’occupazione nazista, o è una ricostruzione semplificata e didascalica della resistenza e della ferocia nazista?
        E’ importante rispondere a questa domanda, o il valore artistico del film ne prescinde?

    • Cristina Ruggieri scrive:

      L’incomprensione di Augusta non è solo sulla religione cattolica, ma anche sul mondo occidentale che ha fatto del danaro il suo unico valore.
      Non concordo sulla mancanza di speranza: la speranza del mondo sono le donne che continuano incredibilmente a dare la vita e a ricostruire ciò che gli uomini si ostinano a distruggere.

  7. Annafranca Geusa scrive:

    L’inizio è promettente, la fotografia davvero bella, l’Amazzonia nella vastità del suo fiume e la piccola barca con le due donne perse sulla sua superficie, è ben bilanciata dalla sceneggiatura e fa da sfondo alla storia, un po’ documentaristica ma che rende bene l’intento della ricerca di se stessi e del senso della propria vita…
    Con lo svolgersi, però, il film perde l’intensità iniziale e si dipana tra ecceso di bella fotografia, che ormai sembra un riempitivo, ed una storia che sembra montata su una serie che pezzi fatti ad arte per emozionare, scollati e discontinui che non spiegano molto e tramettono poco e che spesso sono al limite della banalità e dell’eccessivo indugiare sul dolore.

    Jasmine Trinca non ha abbandonato lo sguardo perso de “La meglio gioventù” e la sua recitazione troppo fredda non aiuta a scaldare il film.

    • Cristina Bellosio scrive:

      Concordo Annafranca, il film parte bene e nella prima parte sembra avere un senso…poi appare come un puzzle di pezzi staccati che non combaciano…neanche la scena finale di gioco tra Augusta e il bimbo indio risolleva le sorti del film…..anzi, in qualche modo contribuisce a banalizzare il percorso di ricerca interiore della protagonista..

      • Cristina Ruggieri scrive:

        Io invece non concordo. Il film è un inno alla vita, di cui le donne sono portatrici, e il cui valore il mondo occidentale con i suoi soldi, e la religione cattolica con la sua ideologia di morte trascurano.

        • Cristina Bellosio scrive:

          Cristina, non comprendo questo ragionamento assolutistico…non è tutto bianco o nero…le donne possono essere portatrici di vita, ma anche di morte…il mondo occidentale non è solo soldi, la religione cattolica non è solo ideologia di morte….Nel film di Diritti ci sono elementi critici verso il mondo occidentale, ma siamo davvero sicuri che basti un viaggio in Amazzonia per ritrovare se stessi e la propria dimensione umana ?!

  8. Cristina Bellosio scrive:

    Avendo apprezzato molto sia “Il vento fa il suo giro” che “L’uomo che verrà” avevo alte aspettative su questo nuova opera di Diritti. Ahimè, il film, nonostante le ottime intenzioni, si rivela deludente.
    La struttura narrativa non convince e la trama finisce per perdersi e per trasmettere allo spettatore un senso di noia e di incompiutezza.
    Discutibile anche la scelta di affidare la parte di protagonista a Jasmine Trinca, che non solo non riesce a coinvolgere ed emozionare lo spettatore, ma lo tiene distante dalla sua vicenda umana.
    Nemmeno convince la scelta del montaggio, con l’alternanza tra le scene girate in Amazzonia e le vicende italiane girate in Trentino, che frammentano la narrazione senza aggiungere significato.
    Diritti, grande maestro del cinema antropologico, confeziona un film nobile negli intenti, ma troppo debole e disgregato nella narrazione.

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