Il coraggio di forgiare la propria identita’

Con molto piacere rivediamo alla regia la bravissima regista araba Haifaa Al-Mansour (la prima regista donna del suo paese) che qualche anno fa aveva diretto il bellissimo “La bicicletta verde“.
 
Dopo 5 anni ritorna con la sua seconda opera “Mary Shelley – Un amore immortale” che racconta la vita di Mary Wollstonecraft Godwin – autrice di uno dei più famosi romanzi gotici del mondo, “Frankenstein” – e della sua relazione ardente e tempestosa con il poeta romantico Percy Bysshe Shelley.

 

I due giovani, legati da una chimica naturale e idee progressiste che vanno oltre i limiti della loro età e del loro tempo, dichiarano il loro amore alla famiglia, che però li ostacola, costringendoli a fuggire. Si rifugiano insieme alla sorellastra di Mary, Claire, presso la casa di Lord Byron sul Lago di Ginevra e proprio lì, tra le crescenti tensioni della loro relazione, nasce l’idea di Frankenstein: un personaggio incredibile, destinato a entrare da protagonista nella cultura popolare per i secoli a venire.
Ma la società di allora non attribuiva molto valore al lavoro delle donne. A soli 18 anni, Mary è costretta a sfidare i tanti preconcetti contro l’emancipazione femminile, a proteggere il suo lavoro di scrittrice e a forgiare la propria identità.

 

Nel cast Elle Fanning, Douglas Booth, Tom Sturridge, Bel Powley, Ben Hardy e Maisie Williams.


 

Come sempre spazio alla recensione dei nostri inviati, in questo caso Anna Baisi:
 
“Forse non c’è (anti) eroina e scrittrice quale Mary Shelley che più incarni il ruolo della protofemminista che già duecento anni fa infatti lottava per il riconoscimento della donna in ambienti culturali visti i preconcetti verso l’arte femminile e la difficoltà ad uscire dai ruoli codificati di quella società repressiva e dare voce al proprio io di artista.
Quel periodo in una sottile simmetria sembra rappresentare il mondo di origine della regista saudita Haifaa al-Mansour
che molto somiglia per pregiudizi a quello della Shelley e che quindi ha parimenti bisogno di una forza emancipativa per l’acquisizione di diritti che oggi diamo per scontati nel mondo occidentale.
La regista del bellissimo film La bicicletta verde ha trovato nella vita della Shelley quei temi a lei cari di liberazione femminile che l’hanno portata alla sua ultima fatica “Mary Shelley – Un Amore Immortale” di cui è anche cosceneggiatrice insieme ad Emma Jensen.
 
Indubbiamente il tema più forte del film è proprio questo aspetto femminista forse a scapito della complessità psicologica e storica dell’Artista che meritava maggiore interiorizzazione ma il prodotto che ne deriva è un’opera che è una piacevole ricostruzione di un particolare momento storico, di fermento culturale e di esplosione amorosa che può appassionare un pubblico più ampio che apprezza le storie sentimentali, e perché no…, senza pretendere una “verità” storica ed umana, senz’altro di maggior valore autoriale, ma più ostica da seguire.
Interessanti i vari intrecci che si sviluppano nella narrazione fra i vari personaggi.
Anzitutto l’incontro-apparizione del poeta Percy Bysshe Shelley a Mary nata Wollstonecraft Godwin che subito suscita una passione ed empatia viscerali in una ragazza che già si esaltava nel declamare i suoi racconti gotici nel cimitero dove era sepolta la madre filosofa ed antesignana del femminismo Mary Wollstonecraft , donna da cui aveva ereditato un carattere anticonformista, battagliero e passionale.
Insomma fuoco e fiamme in Mary che nell’anticonformismo del giovane Poeta si rispecchia e brucia anche se poi dovrà fare i conti con il suo modo di sentire l’amore come esclusivo e romantico rispetto alla completa libertà sessuale professata da Percy.
 
In realtà il Poeta non si rivelerà poi cosi puro perché il libero amore di cui tanto parla risulta più una posa verso il modo di sentire comune infatti era già stato sposato e poi rimasto vedovo sposerà Mary ed anche una nascosta ipocrisia viene a galla quando si intuisce che Percy sente la sua poesia superiore a quella della compagna ed è più che compiacente e compiaciuto nell’avallare nel mondo editoriale in cui non vi erano posto per le donne, con il suo nome, il lavoro di Mary.
Reso bene il rapporto fra Mary e la sorellastra Claire che seguirà la coppia nella fuga d’amore condividendo incontri, delusioni e parte della vita in una comunione armonica e moderna.
Anche i l rapporto con il padre il filosofo e libraio William Godwin che dapprima non ama i suoi racconti di fantasmi ma che poi ne riconoscerà l’innegabile bravura e sarà un dei promotori dell’attribuzione del capolavoro “Frankenstein – Il moderno Prometeo” alla vera autrice la figlia Mary.
Non poteva non mancare l’incontro con Lord Byron ed il soggiorno nella sua magione in Svizzera a villa Diodati dove sembra o meglio come ci hanno sempre insegnato che la sfida di Byron a Mary, Percy e al suo medico Polidori a gareggiare in una gara di racconti sui fantasmi sia la genesi del capolavoro della Shelley.
Mary è rappresentata con una serenità innocente ma nel contempo disinvolta ed esigente, delicata e pura e una integrità e forza d’animo che la sorreggeranno anche nelle gravi avversità in cui verrà a trovarsi: forse c’è qualcosa di quei dolori e dei lutti da elaborare nella Creatura da lei inventata che è profondamente sola e infelice, oppressa da una vita che non voleva.
La ricostruzione dell’Inghilterra dell’Ottocento è notevole sia per scenografie che magnifici costumi e una nota di merito è doverosa al cast artistico.
 
Elle Fanning riesce a rendere tutte le sfaccettature di Mary: non la sua prova migliore ma l’impegno e la serietà professionale si avvertono e senz’altro la presenza scenica dell’attrice è più che adatta al personaggio.
Douglas Booth è Percy Bysshe Shelley, scelto senz’altro anche per la notevole avvenenza fisica, poiché sembra che alla comparsa del Poeta le dame svenissero, e sa rendere appieno un uomo arrogante, narcisista ed egocentrico e chi può dire che non lo sia stato?
Tom Sturridge che impersona Lord Byron con tanto di eyeliner è folle, crudele e pericoloso: forse un po’ troppo sopra le righe ed un tantino stereotipato nel classico artista maledetto e con una faccia da schiaffi incredibile ma qualcosa di vero c’è…
Bel Powley, già vista nel film una Notte con la regina, è piacevole e riesce ad emergere anche se in una parte minore e spiacevole della sciocchina vicino ai geni ma quei suoi occhioni blu trasmettono una vitalità unica e l’innata dote di simpatia fa il resto.
Pacata e calibratissima la recitazione di Ben Hardy quale John Polidori ed azzeccata la recitazione seria e riflessiva di Sthephen Dillane nel ruolo dello studioso e libraio William Godwin, il padre di Mary.
Al di la del giudizio sull’Artista e/o se la biopic le renda onore il film merita se non altro di essere visto per ammirare il coraggio di una ragazza di solo diciotto anni che osa sfidare le convenzioni sociali e rivendicare la propria personalità artistica in un mondo ostile che non riconosce alla donna un ruolo pensante.
La regista Haifaa al-Mansour ha trovato uno spirito affine in Mary Shelley, cosa che le ha fatto decidere di accettare il progetto e ha detto: “Vengo dall’Arabia Saudita e sebbene questo sia un film d’epoca inglese sulla storia di una giovane ragazza che sta crescendo e cerca di trovare la sua strada, circondata da preconcetti di cui vuole liberarsi, mi sono davvero identificata con la protagonista”

 

E adesso spazio alle immagini con il trailer ufficiale !!

 


 

E se volete approfondire:

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