Dal Festival del film di Locarno, 3 – 5 agosto 2012

La scelta delle date della mia prima trasferta in terra ticinese e’ stata dettata da due banali considerazioni: l’inizio esatto delle mie ferie, e la golosita’ di poter vedere in anteprima europea l’ultimo blockbuster di Steven Soderbergh.
In realta’, scorrendo il programma di questa edizione del festival – arrivato gia’ all’eta’ di sessantacinque anni, quasi raggiunge Venezia – si scopre come Olivier Pere, il direttore, abbia optato per un mix di cinema d’autore e di titoli da “grande pubblico”, piu’ che negli scorsi anni: cosi’, oltre a registi indonesiani o ucraini dai nomi impronunciabili e altrettanto impossibili da memorizzare, e ai cortometraggi svizzeri, e ai “Pardi di domani”, davvero ardui a volte da intravedere…, nel programma troviamo nomi di star da red carpet ( e non a caso i critici hanno usato per la prima volta questo termine, per il festival svizzero), da Charlotte Rampling alla nostra Ornella Muti, e titoli dalle trame leggere e apparentemente piu’ facili.
Comunque, Soderbergh a parte, io e il mio prode compagno d’avventure cinefile siamo arrivati in cima al lago Maggiore con lo spirito dei curiosi esploratori. Ovverosia, quel che c’e’ vediamo e sara’ sicuramente di qualita’.

 
Detto fatto, appena parcheggiata l’auto in un comodo parcheggio gratuito, in un’afa meridiana ben poco svizzera, ci imbattiamo subito nella conferenza stampa di Alain Delon, premiato la sera precedente in Piazza Grande con un Pardo non chiedetemi di che materiale. Peccato che la mia nulla conoscenza del francese mi permetta di cogliere si’e no un terzo delle argute battute – indovino dalla risate – dell’attore ex sex simbol, ma che anche se quasi irriconoscibile con i capelli bianchi conserva il suo fascino.

Eccoci, ci siamo, siamo entrati nella classica atmosfera da festival: per le strade, nazionalita’ le piu’ varie, eta’ tra le piu’ svariate, giallo e nero i colori ovviamente prevalenti ( mi ero ripromessa di cercare la ragione della scelta del “pardo”, come simbolo, ma ovvio me ne sono dimenticata).

Acquistiamo un biglietto giornaliero, e senza dubbio scegliamo dal programma il nostro primo film in concorso, alle 14, all’auditorium Fevi, la struttura piu’ grande delle varie sedi del festival (sull’argomento tornero’ tra breve). Il film – forse perche’ e’ il primo…- rimarra’ per me il migliore di quelli da noi visti nella due giorni e mezzo: Compliance, dello statunitense Craig Zobel, che sono pronta a scommettere non vedremo mai sugli schermi italiani.
La trama prende spunto da un fatto realmente accaduto negli USA. Un criminale, per quasi cento diversi casi, chiamava al telefono il direttore di un negozio, o di un esercizio commerciale, o di un’azienda, millantandosi un poliziotto a cui e‘ appena stato denunciato un furto ad opera di un dipendente del direttore stesso.
Nella finzione del film, tutto si svolge nel claustrofobico retro di un qualunque e anonimo fast food americano, dove si consuma il dramma di una povera giovane cameriera, che subisce l’umiliazione di essere accusata di un fantomatico furto appunto ai danni di una cliente.
Perche’ la direttrice del locale crede da subito alla voce suadente, perentoria, autoritaria, che al telefono le ingiunge di procedere in sua vece, con varie scuse, alla ferma della ragazza, alla sua perquisizione, a una sequenza via via piu’ inquietante di azioni in cerca del denaro che sarebbe in possesso della giovane.
Vengono coinvolte anche altre persone, con vari pretesti, per il perverso godimento del maniaco, che arriva a far sculacciare e sodomizzare, si intuisce, la donna, nientemeno che dal fidanzato della direttrice, sempre e solo con la forza della persuasione e dell’autosuggestione. Lo spettatore assiste al precipitare degli eventi, che si svolgono quasi solo in una stanza, attonito e impotente, riflettendo su quanto forte sia la potenza dei “ruoli” sociali e della loro capacita’ di influenzarci e manipolarci.
Forse nessuno di noi sarebbe arrivato a tanto, ma chi non avrebbe creduto, almeno all’inizio, a un poliziotto, anche solo al telefono ?
E’ questa la tesi a cui si aggrappa la direttrice in un finale forse banale – il colpevole viene catturato grazie a un’ abile opera investigativa e accusato di stupro (ve lo racconto, tanto non lo vedrete mai) – ma che riesce a inserire anche il tema della forza dei media nella lettura della realta’. Insomma, al di la’ dell’ottima sceneggiatura, della scelta delle riprese e dei dialoghi, un film a tesi che mi ha colpito molto.

 


Per la seconda proiezione pomeridiana, optiamo incautamente per un film della sezione “Cineasti del presente” (le altre, oltre al Concorso Internazionale, sono: i “Pardi di domani”- cortometraggi – i “Fuori concorso”, i “Premi speciali” – dedicati a maestri del cinema – le “Histoire(s) du cinema”, i “Film delle giurie”, la retrospettiva dedicata al regista austriaco Otto Preminger, gli “Open doors screening” – film dell’Africa francofona subsahariana, i “Semaine de la critique” e gli “Appelation Suisse” – dedicati al cine svizzero).
Dicevo incautamente perche’ Vakansi yang janggal dan penalità linnea e’ un road movie nel vero senso del termine: sequenze interminalbili a camera fissa senza dialogo vorrebbero trasmettere le emozioni di una giovane donna che si scopre innamorata del suo nuovo datore di lavoro, con il quale sta viaggiando appunto a bordo di un furgoncino durante la consegna di un mobile. Come direbbe un critico, ma anche no. E’ ora di cena, e la multietnica piazza Castello offre con i suoi stand l’imbarazzo della scelta: dallo zighini’ alle piadine, dall’urdu allo spagnolo, nazionalita’ e piatti si mescolano.
 
Ed eccoci al momento piu’ atteso: Piazza Grande. Che in effetti e’ bellissima e suggestiva, con i giochi di luce sulle case che ne aumentano la grandezza…che e’ relativa, pero’!! Forti della nostra inesperienza, ci siamo attardati a guardare il lago, dopo il kebab: tanto ci sono 8000 posti…eh gia’. Il risultato e’ quello che vedete:  oltre 3 ore accoccolata sui ciottoli della piazza…ma ne valeva la pena. Anche la luna, calante ma ancora quasi piena, ha illuminato la serata.
Prima, la consegna del Pardo d’onore a Leos Carax, mancata Palma d’Oro all’ultimo Cannes (colpa di Moretti, esempio di “Haut Nannsime” per la stampa francese) con il suo Holy Motors (questo si spera si uscira’), che segna il suo ritorno ai fasti dei primordi dopo Les amants du Pont-Neuf. Kylie Minogue ( sara’ un‘omonima..) omaggia il regista che resta nel personaggio, salendo sul palco con un look al-limtite-del-barbone, occhiali da sole e barba sfatta, 2 parole 2 manco di ringraziamento.
E poi, parte la seratona blockbuster: prima, l’atteso e prevedibile ritorno della coppia Jonathan Dayton e Valerie Faris, che sei anni fa esordi‘ proprio qui con il grazioso Little Miss Sunshine. Questa volta, con Ruby Sparks, raccontano la immaginaria storia di uno scrittore in crisi di ispirazione, Paul Dano, che da‘ vita letteraria e non solo alla donna dei suoi sogni – Zoe Kazan, anch’essa presente sul palco della Piazza e che scopriamo compagna di Dano dai tempi del primo film – con surreali conseguenze. Una commedia gradevole, che strappa qualche sorriso.
La seconda serata inizia a mezzanotte. Ma per fortuna Magic Mike non necessita di grandi attenzioni o sforzi di comprensione: “just enjoy the show”. Ambientato a Los Angeles – di cui vediamo pero’ principalmente solo i night-club -, nell’ artificiale e spietato mondo degli spogliarellisti, il film vuole raccontare la storia di vincenti e perdenti, di cadute e risalite dei vari protagonisti e antagonisti, ma quello che rimane in mente sono le tante scene di corpi perfetti, bronzei, depilati, che si muovono con eleganza e scioltezza in balletti che non riescono ad essere volgari. Channing Tatum, li protagonista, e’ stato davvero uno spogliarellista, ma gli altri attori – a cominciare da un sorprendente Matthew McConaughey – sono davvero bravi. E’ un film calligrafico, molto americano, che anche in Italia non manchera’ di riempire le sale.
 

Per il sabato – dopo una tonificante pedalata con le bici elettriche messe a disposizione del festival (in realta’, scopriamo poi che erano riservate agli accreditati, e non solo ai “giornalieri” come noi. Magari l’anno prossimo come Amicinema avremo un accredito…), facciamo un’altra bella scelta: il franco-estone Une estonienne a Paris, di Ilmar Raag, delicata storia di una badante alle prese con un’anziana donna, anche lei emigrata dall’Estonia – Jeanne Moreau – che non si rassegna alla vecchiaia e alla decadenza, e alla perdita delle attenzioni di quel che fu un suo piu’ giovane amante.
Una boccata d’aria, minacciosa di pioggia, e ci godiamo, sempre all’auditorium FEVI, il delizioso Mobile Home, del francese Francois Pirot, esordiente nel lungometraggio, che ci regala la simpatica vicenda di due quasi trentenni che decidono di abbandonare genitori, padri malati, semi fidanzate, lavori precari per un viaggio on the road in camper: un susseguirsi di spassosi inghippi e ripensamenti rendera’ il road movie che ci aspettiamo una commedia agrodolce di sogni mancati e di speranze giovanili e di scoperte dei valori veri, in primo luogo, quelli dell’amicizia. I due protagonisti, Guillame Gouix e Arthur Dupont, farebbero sorridere anche solo guardando la cinepresa.

Purtroppo Locarno non si smentisce, e l’acquazzone ci sta. Dobbiamo rinunciare all’attesa seconda serata in Piazza Grande – per altri due film in concorso, Nachtlarm e il francese Wrong, e ripiegare su due film della sezione “Cineasti del presente”, al cinema Roialto. Ma non siamo i soli ad avere avuto la stessa idea…e dobbiamo ripiegare ancora, su quello che si rivelera’ un interessante documentario su un eroe dell’indipendenza africana, Thomas Sankara, illuminato leader dell’indipendenza del Burkina Faso. A seguire, una trucida seconda serata con l’inquietante Kill List, di Ben Wheatley, che abbandoniamo all’ 1 per evitare brutti sogni.
 
La mattina della domenica ci sorprende con il sole, ma sempre per la troppa folla dobbiamo rinunciare al pregustato Vergiss mein nicht, di David Sieveking, la storia di un malato di Alzheimer che dalla recensione mi ricordava molto l’ultimo capolavoro di Haneke, Amour. Per la pausa pranzo, non ci facciamo mancare gia’ che ci siamo la conferenza stampa di Ornella Muti, che e’ proprio Ornella Muti…

Per il film delle 14 siamo in coda per tempo: The end of time e’ un (troppo)lungometraggio del regista svizzero Peter Mettler, che si addentra – con una suadente voce fuoricampo – con immagini e una fotografia meravigliosa in meditazioni filosofiche, morali e scientifiche sul senso del Tempo. Ed eccoci all’attesissimo unico film italiano in concorso, Padroni di casa, del praticamente esordiente Edoardo Grabbriellini (che ci fanno ricordare protagonista di Ovosodo di Virzi’).
Sul palco, i protagonisti Elio Germano, Gianni Morandi, Valerio Mastandrea e Valeria Bruni Tedeschi suscitano un tifo da stadio, nell’auditorium pieno come un uovo. E il film sorprende davvero: un noir ambientato in un volutamente imprecisato paese dell’appennino tosco-emiliano, dove due giovani fratelli, imprenditori edili romani, arrivano per fare dei lavori di ristrutturazione nella villa di Fausto Mieli (Morandi), maturo cantante in ritiro, autoesiliatosi dalle scene per accudire la moglie (una Brtuni Tedeschi perfetta nella parte) invalida in sedia a rotelle, ma che sta preparando un grande concerto come malinconico ritorno. L’ostilita’ della comunita’ nei confronti dei due giovani ricorda quella de Il vento fa il suo giro, ma a questo tema si inserisce quello della violenza cieca, che e’ sicuramente aderente alla realta’ e che forse si fa attendere, ma che esplode a sorpresa dove e quando non ce l’aspettavamo. Fragorosi applausi, meritati. Non racconto altro, lo vedremo certo con Amicinema.
Ultima chicca che il festival ci regala, una spassosa conferenza stampa di tutti i protagonisti del film, con Mastrandrea grande mattatore e Morandi degna spalla.

Uno splendido tramonto ci saluta. Una bella esperienza. Unico neo, direi rilevante, i pochi e ristretti spazi delle proiezioni,che non possono far fronte alla folla che credo sempre piu’ con gli anni e’ confluita e confluisce sulle rive del lago: se escludiamo la Piazza Grande e il FEVI, due palestre (“La sala” e “L’altra sala”) e i due cinema locali non possono assolutamente essere sufficienti.

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  1. Cristina Bellosio scrive:

    Interessante resoconto Francesca….ma ci vedo doppio o l’articolo è riprodotto due volte uguale ?

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