Hunger

Come consuetudine ecco la pagina dedicata a spunti di discussione e commenti sul film protagonista dell’uscita di mercoledì 8 maggio.

Davvero sorprendente che un film, premiato a Cannes come miglior opera prima nel 2008, anno della sua uscita, sia arrivato sui nostri schermi soltanto ora.

Dati tecnici :  regia : Steve McQueen

                       attori principali : Michael Fassbender

                       durata : 96 minuti

Trama : Raymond Lohan lavora come agente penitenziario nel carcere di Long Kesh, nell’Irlanda del Nord, nel 1981. Lavorare tra le mura di uno dei famigerati H-Blocks, il braccio dove i detenuti repubblicani stanno effettuando delle proteste equivale a vivere in un inferno, sia per i prigionieri, sia per le guardie carcerarie. Davey Gillen, un giovane detenuto appena arrivato, viene introdotto in

questo ambiente per la prima volta. Benché terrorizzato, rifiuta categoricamente di indossare l’uniforme carceraria e si unisce alla protesta delle coperte, dividendo una cella sudicia con un altro detenuto repubblicano dissidente, Gerry Campbell. Temprato dalla spaventosa realtà del carcere, Gerry guida Davey nella routine quotidiana, gli insegna a fare entrare di nascosto una serie di oggetti e a scambiare comunicazioni con il mondo esterno, passandole a Bobby Sands, leader del loro raggio, durante la messa domenicale. Quest’ultimo incontra Padre Moran e gli rivela che intende guidare un nuovo sciopero della fame in segno di protesta per l’abolizione dello stato giuridico speciale riservato ai detenuti repubblicani. Nonostante Padre Moran cerchi di fargli cambiare idea, Bobby dà il via allo sciopero.


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  1. Cristina Ruggieri scrive:

    Un triplo pugno nello stomaco questo primo film di McQueen. Che riesce in pieno a creare una vera e propria estetica del tragico, del corpo martoriato e torturato, dell’angoscia, del dolore. Di solito il linguaggio cinematografico comunica attraverso le emozioni, non l’estetica. McQueen invece è un artista e realizza un film che esprime la tragicità della scelta di Sands &c. attravrso il linguaggio dell’arte. E grazie al mezzo cinematografico che è più “facile” di un quadro astratto, riesce ad assestare il suo pugno nello stomaco in modo molto più diretto che se non avesse dipinto un quadro.
    Nel 1550 Bruegel dipinge “La salita al Calvario” e parla ai suoi concittadini fiamminghi dell’angoscia e delle torture dell’epoca. I quadri di Rotko o di Vedova oggi a quanti riescono a comunicare la stessa angoscia? La scommessa di McQueen è che ce la facciano le immagini in movimento che chiamiamo cinema. Scommessa, a mio avviso, completamente riuscita in questo film, forse ancora più estremo e coraggioso di Shame.
    La politica dell’IRA e le proteste blanket e no wash nel carcere inglese diventano metafora della dialettica Universale tra ciò che è vita e i principi astratti in cui l’uomo crede, che possono chiamarsi riconoscimento politico, patria, libertà, forse anche dignità. Perchè la vita spesso richiede il sacrificio di questi principi, che a loro volta spesso richiedono il sacrificio della vita. La sofferenza umana ruota tutta intorno a questa dialettica tra vita e idee eroiche, in nome delle quali si combattono guerre, si sacrificano vite, si torturano persone.
    Mc Queen sceglie di raccontare lo scontro tra il valore della vita e i principi astratti attraverso un lungo piano sequenza in cui Sands e un prete cattolico discutono. Senza volto, di profilo, separati da un tavolo invalicabile mettono in scena un dialogo inconciliabile, l’unico vero dialogo di tutto il film, il resto del parlato sono poche frasi isolate. Tra le esigenze della vita e quelle delle idee astratte non sembrano esserci compromessi possibili.
    Mc Queen sembra non prendere posizione in questa dialettica. In realtà l’estetica del martirio sposata nel film è un grido contro la carneficina perpetrata dall’uomo in definitiva su se stesso.

    • Cristina Bellosio scrive:

      La salita al calvario…..il quadro che ha ispirato il regista del fim ” I colori della passione…”

      • Cristina Ruggieri scrive:

        Il film “I colori della passione” è ambientato dentro quel quadro. Per questo mi è venuto in mente.

  2. Cristina Bellosio scrive:

    Personalmente ho molto apprezzato questo film di McQueen almeno per tre motivi :
    1) la potenza espressiva delle immagini in cui il corpo nudo, straziato, brutalizzato e martoriato diventa l’unico e ultimo luogo e strumento di lotta
    2) la volontà del regista di mantenere uno sguardo neutrale sui fatti, di non prendere parte nelle vicende politiche, ma di presentare opinioni a confronto ( il dialogo tra Sands e il prete) e lasciare allo spettatore la possibilità di riflessione
    3) la volontà registica di non dare giudizi sulla figura di Bobby Sands, sulle sue azioni e sulle sue idee politiche, ma di mostrare come il suo calvario fisico sia un atto estremo per richiedere il rispetto di un valore universalmente condivisibile, la DIGNITA’ umana…

  3. Pietro Diomede scrive:

    Il cinema ci aveva già fatto conoscere le vicissitudini di Bobby Sands nel commovente Una Scelta d’amore dove la sua storia era rappresentata dal punto di vista di una madre orgogliosa e battagliera. Hunger invece entra dentro la storia sia quella con la s minuscola che quella con la S. Il debuttante Steve Mc Queen la prende alla larga, prima ci fa conoscere come si viveva nel 1980. Giustissima e coraggiosa la scelta di aprire con uno dei poliziotti più violenti del film, seguendolo nella sua quotidianità fatta di colazione preparata dalla moglie, controllo di bombe sotto la macchina e le mani (il suo vero attrezzo di lavoro) a mollo nell’acqua fredda per riposarle. Giustissima e coraggiosa la scelta di farci conoscere la protesta irlandese tramite due non protagonisti, seguire sia la protesta della coperta (ossia il rifiuto di indossare la divisa carceraria e restare nudi slo con una coperta addosso) che quella dello sporco (cospargendo di feci i muri e rovesciando l’urina nei corridoi del carcere moto di ribellione per le botte prese nei bagni durante i bisogni). Solo dopo venti minuti irrompe la fisicità di Michael Fassbender e il Cinema (con la C maiuscola) decolla. Mc Queen non fa di Bobby Sands un eroe, nemmeno una vittima ma un martire….la protesta è vissuta nel corpo e nelle ferite di un protagonista che si getta totalmente nelle mani del regista…un’osmosi che si farà più netta nel successivo Shame. Hunger è uno degli esordi più promettenti e convincenti degli ultimi dieci anni….e la meritatissima Camera d’or testimonia il talento di uno dei migliori registi della sua generazione. Per capire la personalità di regia che Mc Queen usa in questo film bisogna vedere in apnea il dialogo serrato senza stacchi tra Bobby Sands e il prete che cerca di intercedere per lui o la pulizia del corridoio centrale….senza musica, senza parole solo il rumore dello spazzolone….. L’assenza di una colonna sonora portante per dare spazio ai silenzi, ai rantoli e alle esplosioni di violenza sono la dimostrazione di uno che sa cosa vuole e come ottenerla. La cosa curiosa che mi è venuta in mente all’uscita del film è che uno guarda un’opera prima ed è curioso di come sarà il film successivo…..io dopo Shame avevo una voglia di vedere e capire chi è questo genio e perché ha dovuto subire quest’onta di un’uscita postuma del suo esordio…. Voto 8

  4. Annafranca Geusa scrive:

    Raggelante, questo l’aggettivo che riesco ad esprimere alla fine del film. Una rappresentazione stilistica, iperrealista, assolutamente non empatica (e che non cerca l’empatia) della vicenda di Bobby Sands e dei compagni coinvolti nella protesta dello sporco e delle coperte per ottenere lo status di detenuti politici, sporchi e nudi nelle mani di agenti penitenziari, rigide perdine di una posizione politica (la voce della Thatcher) , inflessibile contro l’IRA, che devono porre fine a questa protesta con ogni mezzo.

    Lo stile non facile e non convenzionale di McQueen, dopo Shame e Hunger, mi pare ormai abbastanza delineato: particolare cura alle immagini, iperrealiste e dettagliate, sia che debba mostrare la sofferenza, la piaga, i vermi nel cibo gettato, sia il paesaggio, gli alberi dove corre Bobby ragazzo, immagini che si gelano o si scaldano nell’accompagnare le vicende scandite da poche dosate e scarne parole, arricchite da un’impronta quasi pittorica nella ricerca di una disperata “arte”, il corpo di Sands svenuto in braccio al medico è una bellissima pietà, le celle decorate con escrementi non sono “pasticciate” per sfregio, ma espressione artistica della reclusione e dello sconforto, così come il gioco con la mosca tra la grata e il carceriere seviziatore per “ingaggio” che fuma in una cupa solitudine la sua sigaretta contro un muro azzurro. Immagini che spiegano asetticamente la vicenda. Ogni tanto c’è autocompiacimento in questo indugiare stilistico sulle scene, a volte l’indugio è troppo e inutile, ma si può concedere ad un’opera prima.
    Il lungo dialogo con il sacerdote è il solo momento concesso alla comunicazione, che parte da parole fredde e vuote, immagine fissa su loro due e si riempie man mano fino alla spiegazione del perché di una drammatica decisione mentre cresce il legame empatico tra i due.
    Non c’è empatia ma questo non significa che non ci sia emozione, quella c’è forte e potente e rimbomba dentro e forse proprio perché non empatica, raggela e non si snoda ma resta dentro per un po’. E fa percepire potentemente l’orrore dello stillicidio delle sevizie, di un suicidio lento e doloroso e della agghiacciante decisione di portarlo a termine.

    Fassbender è ormai “la musa” dell’arte di McQueen, è una coppia imprenscindibile per film come Shame e Hunger, ma vediamo se e come si evolverà lo stile di McQueen. Di Fassbender ho visto altro e già da “Bastardi senza gloria” lo avevo eletto un mio mito, valido e promettente attore e finora non mi ha deluso.

    • Cristina Bellosio scrive:

      Come dice Annafranca Fassbender è ormai la musa dell’arte di McQueen…attendiamo con trepidazione il prossimo film di McQueen (Twelve years a slave) per assistere nuovamente alla buona riuscita di questo binomio artistico….

    • Marco Morrone scrive:

      Concordo sul fatto che sia un film raggelante, per lo stile di regia volutamente distaccato e freddo e per la forza (violenza) delle immagini. Cristina l’ha giustamente definita l’estetica del corpo martoriato: in effetti c’è fin troppa indulgenza nel mostrare la sofferenza, le piaghe, la lenta consunzione delle carni: se la volontà del regista era quella di usare il corpo come strumento di denuncia della violazione dei diritti umani, direi che in parte c’è riuscito (personalmente l’ho trovato a volte un po’ morboso, ma probabilmente lo scopo era quello di disturbare lo spettatore e quindi potrebbe anche avere senso). E’ innegabile che McQueen abbia una tecnica registica impressionante e che riesca sempre a trovare l’inquadratura giusta, l’immagine ad effetto, senza sbavature: questo va un po’ a discapito con la coerenza narrativa, lo sviluppo e l’introspezione psicologica dei protagonisti (cosa che evidentemente non gli intereessa in modo particolare), e questo mi fa apprezzare un po’ meno il suo lavoro. Altro difetto a mio parere è l’eccessiva dilatazione dei tempi di alcune scene – probabilmente è funzionale al suo linguaggio – che, se da un lato contribuiscono ad aumentare l’effetto di disagio che si vuole trasmettere allo spettatore, dall’altro ne diminuiscono notevolmente la forza espressiva. Paradossalmente la scena più interessante è quella meno “a-la-McQueen” di tutto il film: il dialogo tra il prete e il protagonista (anche questo un po’ sforbiciabile), molto minimalista, quasi estrapolata di forza da una piece teatrale, dove si tenta di chiarire le ragioni della protesta e la “necessità” del sacrificio. Che dire? Complessivamente un lavoro interessante, anche se personalmente l’ho trovato comunque poco emozionante e coinvolgente.
      Potrebbe sembrare una riabilitazione di Steve McQuenn maaaa… non ritratto una virgola su quanto scritto di “Shame”! :D

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