J.Edgar

Mercoledi’ 11 gennaio “J.Edgar” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amici del Cinema.

Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.

 

Dati Tecnici
Regia: Clint Eastwood
Con: Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Josh Lucas, Armie Hammer e Judi Dench.
Durata: 137 min

Trama del film
“Emblema e punto di riferimento dell’applicazione e del rispetto della legge negli Stati Uniti, J. Edgar Hoover è stato per quasi 50 anni il capo dell’Fbi, un uomo di potere temuto e ammirato, insultato e venerato. Ma, nel chiuso delle sue stanze, egli custodiva segreti che avrebbero distrutto la sua immagine, la sua carriera e la sua vita.”

Trailer
http://www.youtube.com/watch?v=4kcLew-ehPI

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  1. Cristina Ruggieri scrive:

    Tutti i film di Clint Eastwood regista ci mostrano il suo interesse per la condizione umana, piuttosto che per la politica. E questo film non fa eccezione, ci racconta dell’uomo J. Edgar e non tanto del capo dell’ FBI Hoover.
    Idealmente si collega ai due film sulla seconda guerra mondiale “Flags of our father” e “Letters from Iwo Jima”. In questi film, come in J. Edgar, l’interesse di Clint è quello di mostrare cosa c’è dietro il mito dell’eroe che la storia ci consegna. L’ idea di Clint, che condivido in pieno, è che tutto ciò che di “eroico” un essere umano realizza, in realtà è frutto del lavoro di un insieme di individui che lavorano ognuno al proprio compito, senza capacità o coraggio particolari. Ed è solo il mito che un personaggio o altri intorno a lui si costruiscono a fini di propaganda che trasforma quella storia collettiva in eroiosmo individuale.
    In J. Edgar tutto ciò è mostrato utilizzando il cinema: i racconti eroici che Hoover fa ai giornalisti suoi biografi ci sembrano realtà perchè il racconto si trasforma in immagini davanti ai nostri occhi, salvo poi scoprire alla fine che si è trattato di miti costruiti da Hoover stesso. Clint ci dice anche, nel film, che spesso questa finta propaganda è necessaria, per ottenere i finanziamenti richiesti dalla politica ad esempio. Ma è come se ci avvertisse: attenzione gli dei in terra non esistono, ci sono solo uomini con i loro limiti e le loro debolezze.
    Ma questo è uno degli aspetti del film, che, come dice Chiara, è denso. C’è poi il ritratto dell’uomo J. Edgar che è assolutamente toccante. Convinto di essere l’unico a poter “salvare” l’America dai suoi nemici, che cambiano di volta in volta ma sono sempre in grado di annientarla, non si fida praticamente di nessuno, e ha sempre bisogno di sentire “il potere” nelle sue mani, ricattando i presidenti che si susseguono a colpi di dossieraggi compromettenti. E se ci fate caso, Il bravo Clint non mette in evidenza mai il colore politico del presidente, perchè per Hoover non ha importanza. Questa incapacità di fidarsi del mondo è anche ciò che lo rende assolutamente solo. Perchè con nessuno riesce a essere completamente se stesso: alla madre e Miss Gandy non confessa mai la sua omosessualità, a Clyde e alla madre non racconta dei dossier.
    Come se tutto questo non fosse abbastanza, Clint ci regala anche una delle più toccanti storie d’amore viste al cinema. E qui mi rifaccio al commento di Stefano per la descrizione delle due meravigliose scene d’amore del film (ma anche quella del colloquio di assunzione è meravigiosa).
    Insomma, non so se si è capito, ma per me è un film speciale che tocca tutte le mie corde emotive andando a segno ogni volta.

  2. Sayuri608 scrive:

    Dal mio punto di vista un film impegnativo che ha descritto Hoover come un personaggio deciso a dirigere e proteggere il paese contro la delinquenza. Personaggio apparentemente forte in quanto fà chiaramente trasparire le sue debolezze appoggiandosi ad una madre per avere una guida e conferme tanto quanto al bisogno del suo braccio destro Clyde. Timorato dal giudizio della gente non svela alla madre la sua omosessualità, e solo all’ultimo fà percepire a Clyde i suoi sentimenti. Non mi é piaciuta molto la parte stile reporter che ogni tanto narrava gli eventi ed il continuo passaggio temporale che mostrava Hoover da giovane, poi da vecchio. Comunque interessante anche se un po’ lento.

    Milena

  3. Ugo Besson scrive:

    Un film sicuramente interessante ma non mi ha convinto; bravi gli attori, ma Clint ha fatto meglio negli altri film. Salvo qualche eccezione di qualità, le scene sono troppo brevi e non consentono di approfondire la dinamica dei personaggi, gli sviluppi psicologici o la drammaticità degli avvenimenti, alcune mi sono sembrate incomprensibili, altre affrettate, da notiziario. La voce fuori campo che legge le memorie sembra sostituire una gestione cinematografica delle situazioni e sopperire ad una regia un po’ pigra. La tecnica delle memorie e dei feedback si risolve in una narrazione un po’ pasticciata, succedono grandi avvenimenti storici ma tutto sembra sempre uguale. Forse questo può voler rappresentare l’inusuale e inquietante perennità del potere di Hoover e la disarmante immobilità del suo pensiero, con l’eterna lotta contro i cattivi che vogliono distruggere l’America, fra cui arruola comunisti, anarchici, liberali, la signora Roosevelt e Martin Luther King. Certo, Clint si interessa alla vicenda personale di Edgar, ma allora era meglio fare una storia romanzata ispirata alla sua vicenda (come Clooney), qui invece ci sono personaggi storici con nomi in chiaro e allora ci si aspetta qualcosa di più sullo sfondo e sui legami con gruppi di potere che H certo aveva. Non mi sembra che Clint abbia simpatia per lui, vuole rappresentare le frustrazioni e le manie nevrotiche che stanno dietro a molti uomini troppo attaccati al potere. Hoover rappresenta l’America? Certo non quella di Martin Luther King, Roosevelt e Kennedy, che lui detesta (ricambiato) e combatte con metodi subdoli e ricatti. Non serviva l’America ma si serviva dell’America e dei suoi sentimenti per ottenere e conservare il potere, calpestando diritti, libertà e regole. Un personaggio oscuro, anche se, come ci mostra giustamente Clint, aveva anche lui dei sentimenti e degli affetti veri, anche se molto pochi.

  4. Cristiana Palmigiano scrive:

    Film che offre un interessante affresco di un capitolo di storia contemporanea, forse non destinato… a fare storia.
    Se in una prima analisi sembra che la struttura della narrazione così come il ritratto di Hoover si inquadrino in una prospettiva storica senza uso di giudizio critico, in un secondo tempo ritengo che appaia più evidente l’intenzione di dare effettivamente un’interpretazione personale e del tutto umana della vicenda e dell’esperienza politica del protagonista. Ho avuto di fatto il senso che ogni singolo momento della sua biografia sia – troppo?? – fatalmente influenzato dall’accadere degli alquanto complessi eventi della sua vita privata, primo tra tutti, evidentemente, il rapporto con la madre: storia di repressione, questa, che forse spiega la veemenza di un’ossessione lunga una vita. E la forza di un amore mai pienamente vissuto.
    Il tutto con una fattura impeccabile… discreta prova di regia non all’altezza di altre dello stesso Eastwood, buone le interpretazioni, ma, a parer mio, una sola stella: Judi Dench. Lei non recita. Vive.

  5. Stefano Chiesa scrive:

    In questo film ci sono un paio delle scene d’amore piu’ belle che abbia mai visto.
    Una di amore rabbioso e violento quando Clyde e Edgar si azzuffano rotolandosi sul pavimento e lui lo bacia con una passione infinita e la scena finale, con una inversione di ruoli, quando Di Caprio dichiara il suo amore e bacia teneramente sulla fronte Edgar.
    In quel momento sono stato anche io un poco “emotivo anonimo” e la scena mi ha commosso davvero perche’ in quel momento e’ come se nel film si fosse chiuso un cerchio, le emozioni trattenute da Hoover per tutta la vita si sono liberate e lui e’ riuscito a mostrarsi per quello che e’ veramente: un uomo che ha bisogno di un’altra persona. Anche per tutta una intera lunga vita….

    • Pietro Diomede scrive:

      Confermo e sono la parte più bella e intensa del film…..

      • Cristina Ruggieri scrive:

        Direi che il film è la storia dell’uomo, J. Edgar, più che del capo dell’FBI Hoover. E lo dice anche il titolo. E la storia d’amore che dura tutta la vita è sicuramente la parte più toccante del film.

  6. Pietro Diomede scrive:

    Chi è J Edgar Hoover? Chi è l’uomo che ha fatto nascere l’FBI?
    Il discorso finale del Presidente Richard Nixon rende l’idea: 48 anni di onorato servizio, ha seguito 8 presidenti e il loro segreti (questo lo aggiungo io). Un uomo che ha fatto ed è la storia degli Stati Uniti.
    Il film viaggia su due binari….da un lato la storia, la leggenda con un’autobiografia dettata che fa da filo conduttore alla narrazione dall’altro l’uomo con le sue manie e le sue debolezze e non è un caso che il film si intitoli “J. Edgar”.
    Purtroppo questa scelta fa si che il film risulti molto prolisso, che più di una volta si incarti su stesso. Soprattutto nella rappresentazione storica con fatti e situazioni che sembrano susseguirsi senza una logica narrativa, un po’ come il susseguirsi dei biografi che sia alternano nel racconto della storia americana riveduta e corretta dallo stesso Hoover.
    Di contro il J Edgar privato quello che si è castrato per il suo lavoro, quello che ha represso la sua omosessualità e nascosto il suo amore per il suo braccio destro Tolson e raccontato con grande intensità.
    La prima sensazione che ho avuto guardando questo film è che c’è tanto e molto Leonardo Di Caprio e poco forse troppo poco Clint Eastwood.
    L’attore domina il film dall’inizio alla fine identificandosi in tutto e per tutto con il personaggio alternando rabbia, debolezze fino alla sensibilità finale (insomma ha fatto tutto quello che si deve fare per vincere l’oscar) mentre la mano del regista si vede proprio nella rappresentazione dell’uomo Hoover accompagnandolo con il suo marchio di fabbrica ossia la sua suonata per piano che crea l’atmosfera per le scene migliori del film come il tentativo di confessare l’omosessualità alla madre (un’austera Judy Dench che preferisce un figlio morto che una gerbera) o l’intensa dichiarazione d’amore di un coinvolto Josh Lucas a un confuso Di Caprio.
    Pur essendo di un certo livello “J Edgar”….è un film che non convince del tutto, la sensazione è che sia un film su commissione che non convince lo stesso Eastwood….sarà per la prossima volta
    Voto 6

    • Annafranca Geusa scrive:

      Forse intendevi Armie Hammer ossia Clyde…

      • Stefano Chiesa scrive:

        Che ho visto era anche uno dei gemelli del film di David Fincher “The social network”… qui la sua parte e’ piu’ sostanziosa e nel complesso secondo me se la cava bene.
        Peccato per quel suo terribile trucco d’anziano (tanto quanto era credibile quello di Di Caprio).

      • Pietro Diomede scrive:

        intendevo Armie Hammer

      • Annafranca Geusa scrive:

        Vero, il trucco per invecchiare Hammer è pessimo tanto da alterare perfino la stessa recitazione dell’attore. La raffinatezza e la delicatezza del personaggio cedono quasi ad un senso di grottesco e si comprendono meglio quei registi maniacali in ogni particolare!

  7. Chiara Desiderio scrive:

    Mi ha fatto ricordare “la banalità del male”, di come spesse volte i meccanismi peggiori vadano a innestarsi su ciò che è consueto, sugli aspetti più ordinari dell’individuo, sulle sue paure più stupide, involute, castranti. Fare un film di critica politica sarebbe stato inutile e poi Eastwood non è Stone, registicamente parlando: “funziona” nello spazio di relazione tra i personaggi, racconta emozioni (arghhh…sembro Alberoni!!!:-D) non fatti, non sarebbe mai riuscito a fare un film alla JFK. Il suo modo di dirigere mi ha riportato quanto mi disse la mia insegnante di italiano delle medie, che andai a trovare negli anni universitari, circa la mia paura di non esser in grado di crescere dei bambini: “non preoccuparti, vengono su da soli, devi solo dargli una bottarella ogni tanto se ti sembra stiano sbagliando il tiro.” Ecco, la regia di Eastwood mi è parsa così: ha definito lo scenario e ha lasciato che gli attori conducessero il gioco, limitandosi a dare una botticella ogni tanto. Ha scelto episodi che spiegassero come è stato possibile che un sistema di controllo, quasi una versione soft della stasi, potesse svilupparsi in una nazione comunemente considerata esemplare del concetto di democrazia (la tiritera è che il sistema americano ha gli anticorpi, no?). In realtà c’è da chiedersi se, fosse riuscito ad avere un “allievo”, ci sarebbe mai stato un caso Watergate, la si è scampata solo perché una persona così ossessionata dal controllo reputava più plausibile riuscire a sconfiggere la morte con le vitamine che impegnarsi ad allevare un delfino. La banalità del male e la fragilità della libertà: basta poco per far passare norme che aiutano a concentrare molto potere in poche mani giocando sulla commozione per il rapimento di un infante, così come l’11 settembre è stato utilizzato per limitare libertà individuali e come ora si agita lo spettro del default economico per smantellare i residui di stato sociale esistenti e far dimenticare che economisti post keynesiani dalle idee realizzabili ce n’è a pacchi. Un governare basato sul far dimenticare il guardare oltre il proprio naso, oltre la cogenza dell’ora. Il montaggio ha reso diverso un impianto narrativo classico, il ripercorrere le proprie memorie, facendo sì che presente e passato scivolino l’uno nell’altro come solo nella mente accade, con un presente esso stesso fluttuante, son ben tre gli agenti che stendono le memorie di hoover sotto dettatura, l’ultimo di colore, così da poter citare l’episodio di lotta al ku klux klan. Vero che può sembrare un film sovraccarico, ma a me pare che nulla sia in più. E’ un film denso.

  8. Annafranca Geusa scrive:

    Il film è una bella, intensa, virile storia di amori e di lealtà, e basterebbe a reggere bene se non si trattasse di un film su un personaggio come J.Edgar Hoover, di cui so giusto quello che si può apprendere leggendo un paio di sintetiche biografie, ma per il quale parlano fatti come quello di aver attraversato ben otto presidenze americane come potente capo e innovatore dell’FBI e messo mani in pasta in situazioni cruciali in un periodo molto problematico degli Stati Uniti. Il film l’ho trovato certamente bello e coinvolgente, talvolta Eastwood calca un pò la mano sul melenso (e il travestimento alla Psyco squalifica un’emblematica e intensa scena di dolore), ma si perdona per la bella fotografia, i bravissimi attori, in particolare Judi Dench ma anche Naomi Watts, meno il compassato Hammer di Clyde, e il perfetto Di Caprio da giovane e da vecchio, ma, d’altronde il ruolo è proprio il suo, il tormentato grintoso prima metà del XX secolo che via via sta perfezionando! Il limite del film è però grosso: Hoover è trattato in maniera acritica, anche le sue cantonate passano leggere e solo alla fine viene lasciato un pò di spazio al lato oscuro, nel resoconto sincero di Clyde. Troppo poco e il film rimane un bel film ma un pò vuoto.

    • Omer Loncours scrive:

      la potenza del film sta proprio nella mancanza di critica

      • Annafranca Geusa scrive:

        Non mi convince: la mancanza di critica sulle sue azioni e il soffermarsi troppo sul ritratto interiore alla fine lo umanizza troppo, e il giudizio vira quasi verso la tenerezza per cui alla fine non è equilibrato!

      • Chiara Desiderio scrive:

        Credo che l’ennesimo ritratto di Hoover come il “brutto e cattivo” sarebbe stato pleonastico e Eastwood è da sempre interessato alle linee d’ombra, al crinale tra buio e luce, piuttosto che alla denuncia partigiana. La cosa che più apprezzo è la sua capacità di non scivolare mai nell’ambiguità. A me pare che tutta l’opera di Eastwood sia una critica feroce ad una delle frasi che l’ha reso famoso, quella “quando un uomo con la psitola incontra uno con il fucile l’uomo con la pistola è un uomo morto” sembra voler costantemente insinuare il dubbio che non sia così. Non si dovrebbe rifiutare l’idea di un Hoover “tenero” per non incrinare la determinazione del giudizio sull’hoover politico. Si rischia di fare lo stesso errore per cui, pur di avere un colpevole per la morte del pargoletto non si è stati lì a chiedersi se l’imputato fosse solo o sulla scala. A me Eastwood piace per questo, perché mette in crisi la mia tendenza a scindere tutto in bianco e nero, in buona sostanza mi costringe a pensare (poi magari non cambio idea comunque!;-P)

  9. Omer Loncours scrive:

    PS la tecnica del dossieraggio mi ha ricordati eventi più recenti e molto più vicini alla nostra realtà :(

  10. Omer Loncours scrive:

    Pur parlando apertamente di politica, non l’ho trovato un film politico. Eppure vi traspare l’etica negativa del sistema americana, questa volta, a differenza di Clooney, cammuffata con le buone intenzioni, quindi ancora più subdola. J.Edgar non incarana certo valori positivi, ma viene disegnato in modo molto umano senza mai giudicarlo ed è forse questa la chiave. Il rapporto con il suo braccio destro è disegnato in modo superbo, ma, e questo è assolutamente personale, non mi ha emozionato.

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