Un film vigoroso e di inaudita tempra morale

Dal 10 marzo finalmente nelle sale italiane, distribuito da Satine Film, arriva “Il male non esiste“, ultimo capolavoro del pluripremiato regista iraniano Mohammad Rasoulof (“I manoscritti non bruciano”), vincitore dell’Orso d’Oro come Miglior Film alla Berlinale 70 e in numerosi altri Festival Internazionali.
 
Un film simbolo, unico e straordinario, che solleva dilemmi morali universali che scuotono le coscienze e impongono una riflessione profonda sul tema della pena di morte e della responsabilità delle persone coinvolte nella sua esecuzione.

 

Iran, oggi. Quattro storie, quattro ritratti della fragilità dell’ essere umano di fronte a scelte obbligate e alle responsabilità che ne derivano.
Il 40enne Heshmat marito e padre esemplare, è un uomo generoso e accomodante con tutti, ma svolge un lavoro misterioso per il quale ogni notte esce di casa.
Pouya ha da poco iniziato il servizio militare e si ritrova subito ad affrontare una scelta drammatica: come obbedire a un ordine dei superiori contro la propria volontà.
Javad è un giovane soldato che conquista a caro prezzo tre giorni di licenza per tornare al paese della sua amata e chiederla in sposa. Bharam è un medico interdetto dalla professione, che decide finalmente di rivelare alla nipote un segreto doloroso che lo accompagna da vent’anni.
Quattro storie diverse ma inesorabilmente legate che, pur essendo ambientate nella società iraniana, toccano profondamente la coscienza e la storia di ognuno di noi ponendoci di fronte a una domanda alla quale tutti dobbiamo rispondere: al posto loro, tu cosa avresti fatto?


 

Sentiamo le parole di Fabio Bresciani che era presente all’anteprima stampa:
 
“Chi esercita il potere di dare la morte per conto dello Stato è un malvagio? Quale possibilità ha sottrarsi a questa imposizione? Il regista ha raccontato che un giorno ha visto casualmente in strada uno dei suoi persecutori del passato e dopo averlo seguito con l’intenzione di affrontarlo verbalmente, si è accorto dai comportamenti dell’uomo che si trattava di un mostro, ma che lo Stato repressivo lo aveva indirizzato in modo tale che il suo lavoro ne garantisse la continuità illiberale.
Sappiamo che l’Iran ogni anno giustizia diverse centinaia di persone, minori compresi. L’Iran è un’autocrazia, ossia un regime in cui lo scopo della legge è la conservazione dello Stato, non quello di organizzare le relazioni tra gli individui. Pertanto, al fine di mantenere il proprio potere, lo Stato deve sopprimere la possibilità di sottrarsi ad esso. Il film indaga se esista una possibilità di decidere di non provocare la morte altrui, mettendo anche in evidenza quale sia il prezzo di questa decisione. Il regista iraniano sceglie di raccontare quattro storie in cui i protagonisti sono chiamati a confrontarsi con una scelta etica ineludibile, il cui esito cambierà per sempre la loro vita e, per conseguenza, quella delle persone a loro vicine.
 
Le inquadrature serrate e una direzione attoriale, capace di valorizzare sia le emozioni che i turbamenti interiori dei personaggi, riescono a fare entrare facilmente in empatia lo spettatore, lasciandolo di fronte alla domanda: “Io, al loro posto, come mi sarei comportato?”
In questo modo la pellicola non risulta solo un film di denuncia, ma cerca anche di sondare dilemmi etico-esistenziali. Rasoulof inoltre sa dare una forma poetica al suo cinema di protesta, passando per la tradizione della poesia persiana al cinema di Kiarostami che ha fatto scuola e che qui torna nei tanti dialoghi in automobili o nelle distese collinari brulle da cui emergono singoli, imponenti alberi.
 
Il suo cinema non riguarda solo la pena di morte: in tutto il film, infatti, è palpabile la tensione verso la libertà. Lo vediamo nelle donne quasi senza velo, nell’amore tra fidanzati, con quella scena del terzo episodio della ragazza che cosparge di petali il ragazzo, o nel primo episodio quando il marito pettina e tinge i capelli della moglie o quando sceglie l’accompagnamento musicale di Bella ciao, nella versione di Milva, forse ignorando che si tratti del testo delle mondine («Ma verrà un giorno che tutte quante / lavoreremo in libertà»), non quello della lotta partigiana, ma comunque non privo di pertinenza. Dopo aver vinto l’Orso d’Oro a Berlino 2020, Rasoulof è stato condannato a un anno di carcere in Iran e ha ricevuto il divieto di girare film per i prossimi due anni, a seguito di una sentenza che ha ritenuto tre suoi film “propaganda contro il sistema” nei confronti del governo iraniano.
Speriamo di tornare presto a sentire la voce necessaria di questo autore.”

 

Ecco il trailer di questo atteso film !!

 


 

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