Visioni al femminile: Mariangela Melato e Lina Wertmuller

Lina Wertmuller e Mariangela Melato: uno dei sodalizi artistici che hanno segnato la storia del cinema italiano della seconda metà del secolo scorso. Due donne “eccentriche” , nel senso etimologico del termine, che non hanno avuto paura di proporre nuovi stili e nuovi linguaggi e di sperimentare. Romana l’una, milanesissima l’altra, le loro carriere già avviate si incrociano agli inizi degli anni ’70.

 

La Wertmuller nasce nel 1926, e prima di approdare al cinema fa la regista e la sceneggiatrice per il teatro, la radio, il cabaret, la commedia musicale (di Garinei e Giovannini) e la televisione (tra i successi, Canzonissima e Il giornalino di Gian Burrasca); ha una parte ne La dolce vita ed è aiuto regista in 8 1/2. Nel 1963 realizza il suo primo film, I basilischi, e con Nino Manfredi gira nel 1965 Questa volta parliamo di uomini.

 

Mariangela Melato nasce a Milano nel 1941, figlia di un vigile urbano e di una sarta, e studia pittura a Brera, disegnando manifesti e lavorando come vetrinista a La Rinascente per pagarsi i corsi di recitazione. Nel 1960 entra nella allora celebre compagnia teatrale di Fantasio Piccoli, esordendo come attrice in Binario cieco di Carlo Terron. La gavetta è breve: dal 1963 al 1965 lavora con Dario Fo, nel 1966 è ingaggiata dallo Stabile di Trieste e nel 1967 lavora con Luchino Visconti ne La monaca di Monza.  Poi, l’incontro con Luca Ronconi, nel 1968, che cambia decisamente la sua vita, e l’attrice diventa chiave della rivoluzione teatrale del grande regista.

 

Negli anni Settanta, le carriere delle della Wertmuller e della Melato si incrociano e decollano in sinergia. La regista romana scrive e dirige una serie di commedie aggressive, caratterizzate dallo stile che resterà suo, dai toni grotteschi, stravaganti, e con racconti macchinosi e abbondanti. Ma che si affermano grazie al riuscitissimo sodalizio da lei creato, di Giancarlo Giannini e appunto Mariangela Melato.

I titoli sono notissimi: Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972) – con cui la Melato si aggiudica il Nastro d’argento come miglior attrice – Film d’amore e d’anarchia (1973), Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), Pasqualino settebellezze (1975) – candidato a tre Premi Oscar nel 1977, tra cui quello per la miglior regia, mentre la quarta nomination è per Giannini, come miglior protagonista.

 

La Melato negli stessi anni interpreta però anche difficili parti drammatiche, e lavora con i più noti registi. Ricordiamo La classe operaia va in paradiso, del 1972 – per cui vince un Nastro d’Argento, e che è Palma d’Oro a Cannes – e Todo modo, del 1976, di Elio Petri; Caro Michele, 1976, di Monicelli, per cui vince un nuovo David e un nuovo Nastro d’Argento per la miglior interpretazione protagonista femminile.
La sua carriera prosegue con Il gatto (1977), di Luigi Comencini, Casotto (1977), di Sergio Citti, La presidentessa (1977), di Luciano Salce, Oggetti smarriti, 1979, di Giuseppe Bertolucci, e vince un nuovo Nastro d’Argento per Dimenticare Venezia (1978), di Franco Brusati, e con molti altri titoli negli anni Ottanta (Aiutami a sognare (1981), di Avati, Domani si balla (1982), di Nichetti, Il buon soldato (1983), di Brusati, Segreti segreti (1984), di Giuseppe Bertolucci).

 

Lina Wertmuller prosegue invece negli anni Ottanta con i suoi film dallo stile ironico e dai titoli molto particolari, lunghi, baroccheggianti: nel 1983 gira Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada, film che affronta con leggerezza e coraggio il tema del terrorismo.  Poi Sotto… sotto… strapazzato da anomala passione (1984), Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti (1985), Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico (1986), In una notte di chiaro di luna (1989),e  Io speriamo che me la cavo (1992). Nel 1996 dal romanzo di Domenico Rea realizza Ninfa plebea, e torna alla satira politica – sul tema sempre presente nei suoi lavori del conflitto di classe, tra un operaio comunista e una parrucchiera leghista – con Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica, con Tullio Solenghi e Veronica Pivetti.

Negli anni Ottanta e Novanta dirige anche opere liriche, scrive copioni e dirige opere teatrali, ma i film hanno un po’ meno successo, come Peperoni ripieni e pesci in faccia (2004, con la Loren protagonista), e Mannaggia alla miseria (2008). Nel 2010 riceve il David di Donatello alla carriera.

 

La carriera della Melato, e la sua indole,  rimangono comunque anche e soprattutto indissolubilmente legati al mondo del teatro. L’istrionica attrice è Medea nel 1986 e Fedra nel 1987, e tra le altre sue interpretazioni – che rivelano la sua straordinaria poliedricità –  ricordiamo Vestire gli ignudi di Pirandello (1990), La bisbetica domata di Shakespeare (1992), La dame de Chez Maxim (1998), Fedra (1999), Un amore nello specchio e Madre Coraggio (2002); La Centaura (2004); Chi ha paura di Virginia Woolf? (2005), Il dolore (2010).

Negli anni Novanta e Duemila partecipa anche a numerose fiction e miniserie televisive, mentre per il cinema recita in La fine è nota (1993) di Cristina Comencini, Panni sporchi di Mario Monicelli, Un uomo perbene di Maurizio Zaccaro (1999) e Vieni via con me (2005) di Carlo Ventura.

Gli ultimi anni del decennio sono segnati dalla lotta con la malattia, a cui però non ha permesso di fermare la sua voglia e la sua passione per la recitazione e per il palcoscenico. Muore a Milano, l’11 gennaio 2013.

 

Riportiamo il ricordo di Lina Wertmuller alla morte della musa del suo cinema:

Con Mariangela Melato abbiamo perso un’attrice preziosa e una donna straordinaria. Era bella, brava, intelligente, innamorata del suo lavoro. In Italia le attrici di talento non mancano. Ma lei era speciale. Sulla scena, sul set e nella vita. È stata una splendida persona di cui, con molta fatica, oggi parlo al passato . Se n’è andata troppo giovane e trovo la sua morte profondamente ingiusta. Sono andata a visitarla, ieri mattina, alla camera ardente e sono rimasta impressionata dalla sua bellezza che nemmeno la morte ha potuto scalfire. Appariva serena, candida, aveva un viso stupendo. Sembrava una regina.

Mariangela lascia un vuoto difficilmente colmabile. In questo momento di grande tristezza mi tornano alla mente le sue qualità fuori dal comune: l’intelligenza, innanzitutto, che si è sempre accompagnata alla bellezza. E il notevole senso dell’umorismo. Il suo spirito di donna milanese si combinava miracolosamente con la mia romanità. Siamo state amiche e complici, ci siamo volute molto bene. Sembra scontato parlare del suo grande talento d’attrice. Mi ha sempre colpito la sua capacità di fare qualunque cosa. Poteva passare dalla commedia alla tragedia, dal teatro al cinema con l’identica passione e gli stessi, eccellenti risultati.

La conobbi mentre faceva teatro con Ronconi. Con il regista lavorava anche mio marito Enrico Job: fu proprio lui a presentarmela. La giovane Melato mi piacque immediatamente per la sua bellezza, per il talento che sfoderava in scena e l’umorismo che esprimeva con gli amici. Era una grande attrice dall’intelligenza rara. Non ricordo come e perché ebbi l’idea di metterla in coppia con Giannini. Ma che i due insieme avrebbero fatto scintille lo intuii subito. Fa parte del nostro mestiere scoprire il funzionamento di certe alchimie. Lei faceva teatro serio con Ronconi e usarla in un’altra chiave, nelle mie commedie grottesche, fu un’ottima trovata.

Con Mariangela e Giancarlo ci siamo molto divertiti anche se i nostri film erano faticosissimi e spesso si facevano in condizioni logisticamente complicate. Come Travolti da un insolito destino, che si girò tutto in Sardegna. Ma lei non si lamentava mai, accettava di alzarsi all’alba, andava avanti sotto il sole tutto il giorno. Appassionata e disciplinata. È sempre stata un soldato, una combattente. Non si lasciava abbattere mai e fino all’ultimo, anche nella malattia che ce l’ha portata via troppo presto, ha dato prova di un’energia straordinaria. Non ha mai smesso di essere innamorata della vita.
Abbiamo condiviso un lungo pezzo di vita ma non ricordo di Mariangela un episodio in particolare. Né c’è un film che mi lega a lei più degli altri. Li ho amati tutti.

Se ripenso a lei, ce l’ho sempre davanti agli occhi e mi riesce impossibile fermare un’immagine. Adoravo la sua faccia, la sua eleganza innata. E la sua camminata, una delle più seducenti del nostro cinema. Abbiamo continuato a vederci e sentirci. Negli ultimi tempi era malata ma non si dava per vinta e continuava a lavorare. Tanto che non avrei mai sospettato una così precipitosa caduta. E oggi sono senza parole, addoloratissima. Mi mancherà moltissimo.

 

 

Questa voce e' stata pubblicata in Di tutto un po'.

Lascia un Commento