Alla ricerca del linguaggio per esprimere quello che abbiamo dentro

Presentato in concorso al 75° Festival di Cannes, dove ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria, “Close” e’ il secondo film di Lukas Dhont dopo il suo pluripremiato “Girl“.

 

Due tredicenni, Leo e Rèmi, vivono la loro preadolescenza condividendo momenti di gioco e momenti di riflessione. Il loro ingresso nella scuola superiore fa sì che i nuovi compagni inizino a manifestare il sospetto che la loro sia non solo un’amicizia ma una relazione sentimentale.
Questo finirà per creare una certa distanza che si risolverà in una situazione destinata a lasciare una traccia profonda.

 

Tra gli interpreti Léa Drucker, Émilie Dequenne, Kevin Janssens, Igor van Dessel e Marc Weiss.


 

Sentiamo una recente intervista del regista di Gand sul suo film:
 
“Tutti abbiamo fatto esperienza di un’amicizia e di come il cuore si spezza quando questa finisce. Probabilmente quando il cuore ci viene spezzato in tale ambito di solito non se ne parla, abituati a vivere in una società che dà poco importanza ai rapporti che non siano di tipo romantico.
Oggi ai ragazzi che crescono e diventano uomini viene infatti insegnato che devono prendere la distanza dalle emozioni ed essere più competitivi ed indipendenti. Queste sono le caratteristiche che contraddistinguerebbero la mascolinità, mentre tutto il resto finisce soffocato.
I ragazzi imparano a trovare intimità solo nel sesso e non nell’amicizia, verso cui si prende sempre più distanza.
Andando controcorrente, è questo quello che ho cercato di raccontare con Close. Prima di voler fare il regista, volevo fare il ballerino. Quindi quando scrivo, il ballerino dentro di me prende vita e finisco per scrivere più come un coreografo che non come uno sceneggiatore.
Pertanto scrivo principalmente intenzioni di movimento, di distanza, di vicinanza e tutto ciò diventa l’elemento portante del film.
 
Nel corso di sei mesi io e i due giovani protagonisti abbiamo trascorso molti tempo insieme, senza mai provare una singola scena. Non è una cosa che faccio, provare prima le scene, perché penso che tolga spontaneità. Quindi facevamo altre attività, come passeggiare lungo la spiaggia o organizzare serate a tema e di tanto in tanto con molta informalità chiedevo loro cosa ne pensassero dei loro personaggi, se fossero curiosi di sapere perché si comportavano come gli si vede fare poi nel film.
Li ho fatti diventare dei detective alla ricerca del perché succede ciò che è stato scritto nella sceneggiatura. Volevo che capissero davvero quale è il loro ruolo, che vi entrassero dentro e sentissero anche la libertà di esprimersi.
Non voglio che le persone davanti la macchina da presa abbiano troppa consapevolezza di essa e di ciò che vi accade dietro. Con il mio direttore della fotografia prepariamo dunque nel minimo dettaglio ogni scena, dai colori all’atmosfera e fino alle intenzioni, così da poter poi permettere massima libertà agli attori. È come se fossimo una troupe documentaristica perdutasi in un set di fiction.
 
Credo dunque che il non detto sia un tema importante di questo film. I giovani sperimentano sempre qualcosa per la prima volta, come i sentimenti o il senso di colpa. Tutte queste sensazioni poi crescono dentro di noi ma spesso non siamo capaci di esprimerle.
Credo sia importante cercare di rappresentare tutto ciò sullo schermo, perché potrebbe essere un modo per invitare gli spettatori a parlare della propria interiorità.
Trascorriamo la vita andando a scuola e studiando materie come matematica e grammatica, ma non impariamo mai a trovare il linguaggio per esprimere quello che abbiamo dentro e questo penso che sia una forte mancanza per la nostra società.”

 

Vediamoci per finire il trailer ufficiale !!

 


 

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