La grande rimozione nazionale di Marghera

Andrea Segre (se potete guardate i suoi post su facebook che sono sempre molto interessati e poco inquadrati) aveva ambientato a Chioggia il suo film piu’ famoso (“Io sono li’”) e adesso ritorna nelle zone della laguna veneziana per parlare di Marghera in “Il pianeta in mare” il documentario fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia.

 

Marghera; cuore meccanico della Laguna di Venezia, che da cento anni non smette di pulsare: un mondo in bilico tra il suo ingombrante passato e il suo futuro incerto, dove lavorano operai di oltre 60 nazionalità diverse.
Perdersi e stupirsi in luoghi mai raggiunti prima da una telecamera, come il ventre d’acciaio delle grandi navi in costruzione, le ombre dei bastioni abbandonati del Petrolchimico, gli alti forni e le ciminiere delle raffinerie, il nuovo mondo telematico di Vega o le centinaia di container che navi intercontinentali scaricano senza sosta ai bordi dell’immobile Laguna.
Attraverso le vite di operai, manager, camionisti e della cuoca dell’ultima trattoria del Pianeta Marghera, le immagini di Andrea Segre ci aiutano a capire cosa è rimasto del grande sogno di progresso industriale del Pianeta Italia, oggi immerso, dopo le crisi e le ferite del recente passato, nel flusso globale dell’economia e delle migrazioni.


 

Sentiamo le parole del regista di Dolo su questa sua opera:
 
Negli ultimi due anni a chiunque io abbia detto che stavo lavorando ad un film su Marghera la risposta era sempre: “Ah, perchè esiste ancora Marghera?”.
Ho risposto che, sì, non solo esiste ancora, ma produce economia, benzina, plastica, navi, ferro per tutto il nord est italiano e per tutta l’Europa. Si tratta di una potenza economica enorme in cui lavorano 20.000 persone provenienti da 67 paesi del mondo.
Le tante ferite e le tante crisi che hanno attraversato questa zona industriale, come molte altre in Italia, hanno costruito una grande rimozione nazionale. Crediamo che in quegli spazi non ci sia più nulla, più nessuno. Invece non è così.
 
Per me fare cinema documentario significa entrare in mondi dove di solito non possiamo o non vogliamo entrare, Il Pianeta in mare mi ha permesso di fare questo: tra gli spazi vuoti del Petrolchimico e le grandi navi in costruzione di Fincantieri, tra i nuovi impianti della raffineria e i container del porto ho incontrato vite che mi hanno aiutato a capire qualcosa di più del mondo di oggi.
Quando giro film di finzione mi manca da morire il documentario e quando mi trovo a fare quest’ultimo mi manca da morire il primo: ci sono delle cose di entrambi che mi mancano quando faccio l’uno o l’altro. La scrittura, la sceneggiatura e il lavoro con l’attore sono cose che ho scoperto piacermi molto. Il poter chiedere a una persona, sai quelle frasi che dicono sempre i registi: “Fai così, però mettici un po’ più di calore“, è un gioco che mi piace tanto.
Così come scrivere e studiare. Queste sono due cose che nel documentario non fai perché scrivi dopo e, per esempio, non chiedi a un saldatore di metterci più calore nel fare il suo mestiere.
 
Però quando faccio un documentario mi manca non poterlo fare, mentre nel cinema di finzione a mancarmi è la spontaneità. Credo che siano due esperienze complementari che interagiscono una contro l’altra. Il pianeta in mare per me è il documentario cinematograficamente più narrativo che abbia mai fatto.”

 

E questo e’ il bel trailer ufficiale !

 


 

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