In cerca di risposte che non è facile trovare

Paolo Franchi mancava da un po’ di anni, dopo gli esordi molto promettenti con “La spettatrice” (nomination al David di Donatello) e “Nessuna qualità agli eroi”.

 

Ora il regista bergamasco ritorna con “Dove non ho mai abitato” con Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni, Giulio Brogi, Isabella Briganti, Giulia Michelini e Fausto Cabra.

 

Francesca (Emmanuelle Devos), cinquant’anni, è l’unica figlia di Manfredi (Giulio Brogi), un famoso architetto che da quando è vedovo abita a Torino e che lei va a trovare solo in rare occasioni. Francesca da molti anni vive a Parigi con la figlia ormai adolescente e con il marito Benoît (Hippolyte Girardot), un finanziere sulla sessantina dal carattere introverso ma molto protettivo e paterno con lei.
Dopo essere stato vittima di un infortunio domestico, Manfredi, per avere per un po’ di tempo la figlia al suo fianco a Torino, le chiederà di fare le sue veci nel progetto di una villa su un lago per una giovane coppia di innamorati.
Francesca si ritroverà così a collaborare con il ‘delfino’ del padre, Massimo (Fabrizio Gifuni), un uomo sulla cinquantina che ha basato tutta la sua vita sulla sua carriera di architetto, tanto che il legame con la sua compagna, Sandra (Isabella Briganti), prevede che entrambi mantengano i propri spazi di autonomia e indipendenza.
Dopo un primo approccio difficile, tra Massimo e Francesca piano piano nasce una grande sintonia professionale e un sentimento che li porterà, forse per la prima volta, a confrontarsi veramente con se stessi e i loro più autentici destini…


 

Anna Baisi ha visto per Amicinema questo film e sentiamo allora la sua recensione:
 
“Dove non ho mai abitato ultimo film di Paolo Franchi è proprio la narrazione di luoghi, di spazi della mente che rappresentano più mancanze che affermazioni dei vissuti personali, più proiezioni di desideri mai realizzati.
Manfredi architetto prestigioso della alta borghesia torinese è un uomo realizzato nel suo lavoro, ottantenne che ha creato opere prestigiose insieme alla moglie francese e che vive in una meravigliosa casa che è una sorta di compendio di una vita vissuta pienamente con gusto e scelte raffinate che la casa racchiude e conserva, forse l’unico personaggio che è riuscito a coniugare la vita e l’arte del progettare in un proprio spazio, un “abitazione” della mente e del cuore.
Massimo è il suo delfino, il figlio maschio/erede che non ha mai avuto, anch’esso architetto di talento che però vive in una casa piena di scatoloni mai aperti metafora più che chiara di una negazione di “casa” che ben si accorda con le sue (non) scelte di vita e della sua continua fuga da veri rapporti affettivi.
 
Francesca è la figlia di Manfredi che anziché continuare la tradizione famigliare è “scappata” a Parigi con un ricco finanziere e con lui ha raggelato la propria esistenza.
Vive in una sontuosissima abitazione affettivamente fredda ma accogliente e protettiva allo stesso tempo e che ben rappresenta il rapporto con il marito che più maturo di lei è una sorta di padre rassicurante e passivo e soprattutto ben diverso da quello naturale volitivo e provocatore che l’esortava alla sua affermazione professionale e quindi all’esporsi al “rischio” del vivere.
Un malore del padre riporta Francesca a Torino ed il progetto di un villa da ristrutturare per una giovane coppia che il genitore suggerisce alla figlia di seguire insieme a Massimo riporta Francesca ad operare delle scelte.
Sarà l’inizio di un confronto fra due anime simili, due spiriti in conflitto, in attesa di un qualcosa di risolutivo ed al contempo una presa di coscienza della vita che inesorabilmente sta passando: sono entrambi infatti nella mezza età e quella casa che stanno costruendo per altri, come ben recita il titolo, è quindi un luogo che non vivranno mai come proprio ma è comunque un luogo simbolico che le loro menti stanno creando a loro immagine.
Film melodrammatico che già dall’inizio sembra suggerirci dove andrà a parare ma che con molteplici variazioni ci illustra oltre ad un incontro di anime affini una impossibilità a cambiare i propri destini che anche se visti con uno sguardo rinnovato sembrano ormai delineati ed amaramente accettati.
I rimandi sia a registi che scrittori famosi sono molteplici e di questo Franchi sembra più che consapevole ed un luogo che sembra rappresentare il film ed il suo eloquente titolo è il giardino dei ciliegi di cechoviana memoria, uno spazio intangibile ed armonico ma mai abitato.
 
Massimo e Francesca in quel luogo costruito dai propri desideri “vivranno” solo una notte ed è l’unica chance di passione ed uscita dai propri schemi che rubano alla vita prima di ritornare nelle prigioni che si sono costruiti.
Il taglio narrativo che chiude i vari capitolo del film con rapide dissolvenze e che ritrae i personaggi in primi e primissimi piani sembra entrare ed anche uscire in sordina dall’animo dei protagonisti e coglierne l’essenza, i travagli e le emozioni.
Massimo interpretato da Fabrizio Gifuni con magistrale sensibilità è colto nel suo lacerarsi interiore, i suoi occhi in primissimo piano ci parlano del travaglio della sua vita e del suo profondo scontento.
Francesca, una grande Emmanuelle Devos che recita in italiano e in parte in francese, è colta con dolcezza e bellezza di dettagli soprattutto degli splendidi occhi credo mai così esaltati e nella sua brama alla passione amorosa mai assaporata pienamente come neppure nella sua capacità come architetto che non ha mai perseguito proprio per non confrontarsi con la madre ed il padre.
Grandioso l’ottantaduenne Giulio Brogi che interpreta Manfredi con un lucido ed orgoglioso disappunto verso la figlia da cui si è sentito tradito e con la quale il confronto riesce impossibile proprio per quel muro esistenziale che fra loro si è frapposto e non li fa comunicare (Antonioni?) ma che negli sguardi tradisce i sentimenti assopiti e la sua fragilità ogni tanto emerge negli occhi chiari.
 
Film ambizioso che ci parla della presa di coscienza di cinquantenni in cerca di risposte che però non è così facile trovare o forse volere/potere trovare…
Un film, come dice Fabrizio Gifuni, “su due solitudini che quando si incontrano si rispecchiano e si riconoscono subito” ed i loro sguardi come i corpi tradiscono una pulsione sotterrane che li anima nel profondo pronta ad esplodere ma che anche manifestata non li può portare lontano da quello che sono diventati e questo mi sembra una scelta di onestà intellettuale che scarta e supera l’involucro melò della pellicola.”

 

Finale come sempre con il trailer ufficiale di questo film !!

 


 

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