Dopo la sua apparizione in concorso all’ultimo festival di Cannes (nessun premio) arriva anche in Italia, “Mal di pietre” diretto dalla regista francese Nicole Garcia (“Place Vendôme”, l’inquietante “L’avversario”)
Tratto dal romanzo “Mal di Pietre” di Milena Agus e’ interpretato da Marion Cotillard e Louis Garrel.
Gabrielle (Marion Cotillard) viene da un paesino del sud della Francia, in un’epoca in cui il suo desiderio di trovare il vero amore e` considerato scandaloso, se non perfino folle. Contro il suo volere, i genitori di Gabrielle la obbligano a sposare Jose´ (Alex Brendemu¨hl), un onesto e amorevole contadino spagnolo che, secondo loro, la rendera` una donna rispettabile. Un giorno, Garbrielle si reca sulle Alpi per curare i suoi calcoli renali, e li` incontra Andre´ (Louis Garrel), un affascinante reduce rimasto ferito durante la guerra d’Indocina, che risveglia in lei una passione sopita. Gabrielle desidera disperatamente fuggire con Andre´ e liberarsi da un matrimonio che le sembra una prigione. E questa volta e` determinata a seguire i suoi sogni.
Se la trama vi interessa sentiamo anche la recensione di Anna Baisi che ha visto per noi questa pellicola:
“Non stupisce che dal libro “Mal di pietre” della scrittrice sarda Milena Agus la regista francese Nicole Garcia abbia tratto e riadattato per lo schermo il suo film “Mal de pierres” perché in Francia il libro fu immediatamente apprezzato e divenne un best seller e su questa scia in seguito anche nella natia Italia.
Questo melò particolare e atipico non piacque al Festival di Cannes perché non è sempre facile entrare in empatia con la protagonista Gabrielle interpretata dalla spettacolare Marion Cotillard, ma a mio avviso resta un film di fascino sensuale e rivoluzionario.
Gabrielle vive nella campagna della Provenza degli anni Cinquanta, è una donna che affronta il proprio sentire l’amore o forse il suo sogno dell’amore che definisce “la cosa principale” e la propria sessualità in una ossessione e passione ferina che la allontana si dalla realtà ma la fa sentire libera dal destino della donna di quell’epoca in una sorta di emancipazione dal pensiero comune.
I suoi comportamenti esasperati però non passano inosservati e i genitori per salvarle la reputazione e le apparenze la obbligano a sposare un contadino catalano Josè interpretato dall’attore spagnolo Àlex Brendemühl, uomo solido e di buoni principi.
La vita la porta dapprima a Lione e poi nelle Alpi francesi in una clinica dove potrà curare i mali di pietre, calcoli renali, ma non saranno solo quelli ad essere sanati perché la ricerca della “cosa principale”, i mali dell’anima, si realizza quando Gabrielle incontra l’ufficiale André, il fascinoso Louis Garrel, reduce gravemente minato nel fisico dalla guerra in Indocina: è lui l’”amour fou” perfetto, malato come lei ed anche lui fuori dalla realtà perché sotto l’effetto di oppiacei per placare il dolore.
Il film diventa sempre più misterioso da questo punto in poi sino al finale dove il marito, dapprima mero comprimario, assume una parte importante carica di umanità e sensibilità.
Razionalità e follia si danno la mano e seguono la protagonista nell’avvicendarsi degli eventi in un vissuto di realtà/menzogna/follia fatta di emozioni amorose e sessuali, di dolori e slanci, di fughe dalla realtà che si ricomporranno solo alla fine del film per darci un ritratto di una donna e del suo destino non facili da dimenticare.
D’altronde come scriveva Gustave Flaubert:
“Eh, non sapete che ci sono anime in perenne tormento? Aspirano via via al sogno e all’azione, alle passioni più pure, ai godimenti più furibondi, e così sprofondano in ogni sorta di fantasie, di follie.” (da “Madame Bovary”).”
Ci sembra interessante sentire anche le parole della regista Nicole Garcia:
“L’idea per il film viene da un romanzo di Milena Agus, che mi ha ispirato un’idea molto potente per una storia che esplorasse il destino di una donna.
Il libro, però, aveva bisogno di essere interpretato e reinventato. Perché, se volevo raccontare una storia che fosse davvero mia, avevo bisogno di potermene appropriare liberamente. E’ possibile deviare dalla storia originale, a patto di non tradirla. Ritengo che sia proprio questo che Jacques Fieschi ed io
abbiamo cercato di fare quando abbiamo scritto la sceneggiatura.
L’abbiamo senz’altro modificata, abbiamo sviluppato e inventato dei nuovi passaggi, ma non ho mai perso di vista ciò che mi ha così tanto colpito di questa storia, la ragione stessa per la quale l’ho amata.
Secondo me, il destino di questa donna rappresenta metaforicamente l’immaginazione, la forza creativa di cui tutti siamo capaci quando i nostri desideri e i nostri sentimenti ci spingono ad andare oltre i nostri stessi limiti. In Gabrielle, poiché è molto giovane, vive quel desiderio potente che lei chiama “la cosa
principale”, quella dolce evasione di desiderio e di amore: un ardore animale.
Questa passione, che abbraccia tutto il suo essere, finisce per scontrarsi brutalmente con l’uomo che vuole reprimerla (l’insegnante del villaggio); e poiché ci troviamo negli anni ’50, viene largamente condannata dalla sua famiglia e da tutta la società.
Eppure perdura una forza dentro di lei, anche se è sposata. Nel corso dei 17 anni della sua vita, che vengono raccontati nel film, Gabrielle non perde mai quella forza pulsante che fa apparire tutto il mondo attorno a lei così mediocre. Grazie alla sua pazzia (come la chiamano gli altri) non rinuncerà mai ai suoi sogni. Quando si ribella e qualcuno cerca di reprimerla, sembra sottomettersi, mentre in realtà non arretra mai di un centimetro. E quando finalmente trova il vero
amore – quel momento di estasi che potrebbe dare un senso alla sua vita, ma che ancora una volta il fato minaccia di rubarle – dimostra puntualmente di cosa sia capace la sua grande passione.
Gabrielle vive al crocevia tra un mondo all’antica e un periodo di grandi speranze e libertà. M’interessano i personaggi femminili che possiedono questa dimensione poetica così entusiasmante e vibrante. C’è qualcosa nella pazzia delle donne che mi affascina, soprattutto quando vi è in loro una sorta di fragilità, oltre che il potenziale affinché essa possa sgorgare fuori, sebbene a volte si rischi la catastrofe.
Ho amato questa storia, perché aveva un’eco nella mia vita. Rappresenta il modo in cui io vedo l’immaginazione, la sua forza e il potere che ha di guarire. Io stessa ho provato quello che Gabrielle prova nel film, così come tutti noi lo abbiamo provato. E’ una forza che risiede in tutti, è universale, e rende la vita straordinaria, spingendoci verso tutto ciò che è meraviglioso, verso l’ignoto.”
Finale come sempre con il trailer ufficiale di questo film !!