Contro il facile richiamo dei “canti delle sirene”

Chez Nous – A casa nostra” e’ uno dei film francofoni piu’ interessanti e piu’ attesi di questo inizio di 2017.

 

Lucas Belvaux regista di questa pellicola e’ nato nel 1961 in Belgio a Namur, capitale della Vallonia conosciuto per opere come “Rincorsa (2002)”, “Dopo la vita (2002)” e “Una coppia perfetta (2002)”, che costituiscono una trilogia unica nel suo genere.

 

Pauline (Emilie Dequenne), un’infermiera autonoma in un distretto minerario nel nord della Francia, cresce da sola i suoi due figli e si occupa di suo padre, un ex metalmeccanico. Devota e generosa, è amata dai suoi pazienti, che contano su di lei.
Eppure nessuno vede che Pauline, che si trova ad affrontare una realtà sociale sempre più dura, sta lentamente intraprendendo un percorso che nessuno nella sua
famiglia ha mai preso prima. Un partito nazionalista in crescita, in cerca di rispettabilità, utilizzerà a proprio vantaggio la sua popolarità facendone la propria candidata alle elezioni locali…


 

Anna Baisi ha visto per Amicinema questa pellicola ed ecco la sua recensione:

 

“In Francia ha fatto grande scalpore l’uscita dell’ultimo film del regista di origine belga ma trapiantato in Francia Lucas Belvaux: “Chez Nous” (“A casa nostra”).
Prima ancora della visione del film, Front National lo ha attaccato offendendo anche l’attrice Emilie Dequenne che impersona la protagonista; dopo la visione, un rappresentante del partito si è trincerato in un ostile silenzio confermando che dietro al motto dell’estrema destra che ha sempre affermato “né di destra né di sinistra” si nasconde la mancanza di ideali e quindi l’ovvia incapacità di dialogo e democratico confronto.
Il regista si è ispirato, oltre che alla “realtà” al libro di Jérôme Leroy “Le Bloc” unendo così una finzione letteraria da apparire meno aggressiva politicamente e più fiction ma di una attualità tale che è assai difficile determinare i confini fra questa e l’altra.
Il film è ambientato in un distretto minerario della Francia del Nord dove vive Pauline, infermiera disponibile, piacevole ed empatica che si occupa da sola dei due figli e del padre, ex operaio.
L’ambiente in cui vive è popolare, bisognoso di certezze e anche di funzionali paranoie di aggressioni o false paure quali l’immigrazione.
Affascinata dal medico di famiglia Philippe Berthier (un André Dussolier che riesce a trasmettere tutte le sfumature del potere dalle più becere alle più convincenti e seducenti) che è una sorta di “talent scout” alla ricerca di persone che possano dare una credibilità al “partito” a cui ha sempre aderito anche in modo non proprio ortodosso.
Pauline peraltro gli è molto affezionata perché ha seguito la madre nella lunga malattia e quindi si sente protetta anche se invero ne è più che altro manipolata.
Il padre marxista chiaramente non condivide la scelta della figlia di candidarsi nel Rassemblement National Populair ma è anche incapace di convincerla poiché non le ha mai trasmesso i suoi valori ideologici.
Le accuse del padre di incapacità creano in lei un bisogno di sicurezza che ricerca appunto in una affermazione personale e di partecipazione che pensa utile per cambiare in meglio il suo Paese.
La simpatia che Pauline nutre verso questo novello “impegno” più che da idee condivise nasce da quell’uscire dall’anonimato avvicinandosi alla capolista Agnès Dorgelle (Catherine Jacob) che ha molto in comune ed è altamente evocativa di Marine Le Pen e soprattutto per allontanarsi dal dolore personale e dalle difficoltà del vivere.
Jolly del film è Stanko un militante skinhead e compagno di Pauline che è l’emblema della vera essenza dell’estrema destra e della sua violenza e che chiarirà tutti i personaggi sottraendoli dal quel “allure” che li vorrebbe essere salvatori della Patria alla loro vera dimensione di beceri populisti e che dai tempi della giovanile militanza politicamente scorretta e violenta hanno solo “cambiato d’abito”.
Film meraviglioso sulle false ideologie che istigano a condannare le diversità con parole ormai desuete ma che riescono a fare breccia perché la reiterazione forse crea solidità anche a parole oltre che a essere false sono anche ipocrite.
Grandissimo pregio del film inoltre il garbo di Belvaux che non vuole condannare in maniera manichea, sarebbe lo stesso modus operandi che si vuole evidenziare, ma una presa di posizione che lascia al pubblico una libertà di giudizio, di riflessione, di crearsi un’opinione su una demagogia che sentiamo da ormai troppo tempo.
Interessante anche l’aggancio con la Storia di cent’anni fa che ci viene proposta dal contadino che continua a trovare granate nei campi lasciate da altre guerre, da altre battaglie verso l’altro perché si sa che se non si impara dalla Storia la si dovrà ripetere e visto che gli slogan sono sempre quelli come si fa a non adorare il regista che continuare a parlarne e a ricordarci di “ricordare”.
Spero solo che questo film possa servire a chi al facile populismo non riesce a resistere e risponde al richiamo dei “canti delle sirene” pericolosi ma rassicuranti e suadenti.
Per chiudere con simpatia, apprezzando molto Dussolier mi ha fatto piacere sapere che durate le riprese del film ha spesso detto al regista “Non riesco a credere a quello che tu mi stai facendo dire!””


 
Sentiamo anche le belle parole del regista:

 
“Sta accadendo qui in Francia, nella nostra terra, ogni giorno.
È un discorso che sta diventando banale. Parole che vengono scatenate, disseminando un tanfo abietto che causa sempre meno fastidio.
È una marea che si alza, erodendo le barriere antiallagamento. È un discorso che cambia a seconda del pubblico, che si adatta ai tempi, che segue il flusso.
Un discorso che capovolge le parole, le idee e gli ideali, e li distorce. Un discorso che mette le persone l’una contro l’altra.
E la gente passa, dapprima impercettibilmente, poi più chiaramente, dalla solitudine al rancore; dal rancore alla paura; dalla paura all’odio; e da lì alla rivoluzione, con la sua inevitabile eco di Révolution nationale.
Se ne parla ed è visibile, ma tuttavia nulla viene fatto, lasciando una sensazione di déjà-vu, di impotenza, e anche di stupore. La sensazione che si sia provato di tutto, che ogni parola, ogni tentativo di controbattere si rivolti contro la persona che lo compie.
Che ogni affermazione – politica, morale o culturale – sia definitivamente scontata e illegittima.
Forse la finzione è l’unica risposta udibile, in quanto, come il discorso populista, si rivolge ai sentimenti, al subconscio, alla pancia. Proprio come i demagoghi, racconta delle storie. Ma al contrario di loro, che provano a far passare delle fantasie per realtà e che semplificano all’estremo, la finzione cerca di capire, di fornire un racconto della complessità del mondo, dell’umanità, e dell’epoca. Senza dubbio, soltanto la finzione può sollecitare nelle persone la più profonda commozione.
Sì, A Casa Nostra è un film politicamente impegnato. Non è, ad ogni modo, un film militante, e non espone davvero nessuna teoria.
Ho tentato di descrivere una situazione, un partito, una formazione sciolta, e decifrare il suo discorso, comprendere il suo impatto, la sua efficacia e potere di seduzione. Di mostrare la graduale rottura del superego che questo provoca, liberando un tipo di linguaggio fino a quel momento impronunciabile. Esponendo la confusione che mantiene, le paure che istiga e trasforma in strumento politico.
Il film non è e non dovrebbe essere rivolto primariamente alle persone che sono già mobilitate, e che sanno che cosa vuole dire davvero l’estrema destra. Tutti potrebbero sapere cosa descrive, ma le persone oggigiorno ottengono le loro informazioni da media guidati più dallo spettacolare e dall’emozionante che dall’analisi e dalla riflessione.
Ho cercato di evitare di riservarlo agli informati, ma di mettermi in contatto con tutti, “da persona a persona”, in un certo senso. Di mettere in scena, piuttosto che dimostrare. Di sorreggere uno specchio, senza distorsione, perché sebbene gli specchi riflettano, possono anche far riflettere quelli che li guardano. Gli specchi rivelano anche ciò che c’è dietro di noi, ci pongono in un ambiente, nel mondo, oggettivamente.
Allo stesso tempo, ci mettono in prospettiva e di fronte a noi stessi.
Questo film è prima di tutto rivolto a quelli che un giorno, forse domani, saranno tentati di rispondere a questi canti di sirena.
Non so se sarà di qualche aiuto. Ma in ogni caso sono sicuro che valga la pena di fare un tentativo.”

 

E dopo tutte queste parole spazio al trailer italiano !!

 


 

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