Le regie di Denzel Washington sono pochissime, “Antwone Fisher” (2002) e “The Great Debaters – Il potere della parola” (2007), e in entrambe l’attore newyorkese si e’ anche auto diretto.
Non fa eccezione “Barriere” il suo molto atteso ultimo film che esce nelle sale questo giovedi’.
Barriere si svolge negli anni ’50 e ruota attorno a Troy Maxon, un afroamericano ex star del baseball che ora lavora come spazzino. L’equilibrio costruito dall’uomo all’interno della sua famiglia va in pezzi quando il figlio Cory disubbidisce al padre e si presenta ad un provino per il football che potrebbe portarlo a vincere una borsa di studio per un’università. Troy non vuole che il figlio si avvicini al mondo dello sport temendo che possa essere scartato per il colore della sua pelle com’era successo a lui anni prima.
Nel cast oltre a Denzel Washington anche Viola Davis, Jovan Adepo, Stephen Mckinley Henderson, Russel Hornsby, Mykelti Williamson e Saniyya Sydney.
Anna Baisi era presente per noi all’anteprima stampa ed ecco la sua recensione:
“Il film “Fences” diretto da Denzel Washington, titolo italiano “Barriere”, è la trasposizione cinematografica dell’omonimo capolavoro teatrale del grande August Wilson (cantore in “The Pittsburgh Cycle” – raccolta di dieci drammi – dell’esigenza di emancipazione e di identità sociale della comunità afroamericana) che andò in scena a Broadway nel 1987 – con l’ottima interpretazione di James Earl Jones (amatissimo da Denzel) – e che vinse il premio Pulitzer.
Il protagonista Troy Maxson (lo stesso dolente ed affascinante Denzel Washington), nella Pittsburgh fine anni ’50, vive con la moglie Rose (una spettacolare Viola Davis che meriterebbe di gran lunga di vincere l’Oscar) ed i figli Lyons musicista jazz, squattrinato e spesso alla ricerca di sovvenzioni dal padre e il più giovane Cory che vorrebbe diventare un giocatore di football.
Rose è la classica brava moglie e madre di quegli anni che annulla se stessa per la famiglia, perché rimanga unita e cerca di riportare ad una dimensione contenibile lo strabordante marito che o è in perenne lite con i figli oppure è nel cortile o sotto il portico nel retro della loro modesta casa, dove si svolge gran parte del film, a parlare, straparlare e bere gin con l’amico Bono per colmare quel vuoto che si porta dentro, quell’estromissione dal sogno americano che da “nero” ha subito e che lo lacera costantemente.
Perché Troy è un netturbino che canticchia il blues e che avrebbe voluto oltre che giocare a baseball diventare un professionista ma ai suoi tempi agli uomini di colore non era permesso e questa frustrazione offuscata dall’alcool lo inaridisce e gli ottunde la mente ed il cuore oppure (di nietzscheana memoria) lo rende “umano troppo umano”: un mistificatore della propria realtà che con egoistica inconsapevolezza riesce a parlare dei suoi quindici anni passati in prigione e di altri “crimini” perpetrati con quella leggerezza o forse rassegnazione in un costante conflitto con la vita.
Si fa odiare dal figlio Cory a cui non permette una scelta importantissima per proteggerlo forse da delusioni da lui già patite, tradisce la dolcissima moglie in maniera imperdonabile ma nonostante tutto non riesco a provare nei confronti di Troy un sentimento negativo forse perché appartiene ad una generazione umiliata che anche se mediocre cerca in qualche modo di fare quello che può, eroe a suo modo, frenato dalla disillusione, dai fantasmi di un passato avaro di opportunità, dalla paura, dal sentire avvicinarsi il declino fisico e la morte.
Troy costruisce barriere, con le sue contraddizioni: è ferito, è un uomo teso all’onestà ma tradisce se stesso ed il proprio codice morale con un autolesionismo che oltre a ferire se stesso come spesso accade fa soffrire anche le persone che più ama.
Ci sono due tipi di barriere quelle per tenere la gente “fuori” oppure quelle di Rose che vuole costruire delle “recinzioni” intorno al loro cortile, insomma alle loro vite, per tenere le persone “dentro”.
Forse questo è il senso del film qual’è la barriera che vogliamo costruire?
Film che oltre della comunità afroamericana parla di tutti noi, di una condizione umana ed universale che ha diritto ad un finale di redenzione e di perdono per una vita vissuta sia nel bene che nel male attingendo alle capacità di cui ognuno di noi può disporre e che nel finale del film si stempera nelle note di “Blue” una canzone blues che suona come atto di riconciliazione fra le diverse generazioni.
Tony Kushner, che ha perfezionato la sceneggiatura del film anche se “non accreditato”, dopo la morte di August Wilson disse di lui: ”’Eroico’ non è un termine che si usa spesso per descrivere uno scrittore o un drammaturgo senza provare un certo imbarazzo ma la scrupolosità e la ferocia dello sforzo che soggiace alla creazione del suo corpus letterario rappresenta veramente una storia epica”.”
Il fim e’ candidato a 4 premi Oscar: Miglior Film, Miglior Attore Protagonista, Miglior Attrice non protagonista, Miglior Sceneggiatura non originale.
Non c’e’ modo migiore di finire che non con il trailer italiano !!