Tutto il cinema di Marco Bellocchio

Marco Bellocchio ha appena festeggiato quest’anno cinquant’anni di attività e noi abbiamo dedicato questa settimana a lui e al suo ultimo film. E parliamo delle sue pellicole direttamente con le sue parole.


 

Partiamo dal suo esordio assoluto, uno dei suoi capolavori, “I pugni in tasca” del 1965.

“In un’agiata casa borghese di Bobbio una madre cieca vive di ricordi con 4 figli, uno dei quali, epilettico ed esaltato, la elimina e uccide anche un fratello deficiente. Colpito da una crisi è lasciato morire dalla sorella.”

Un film duro, crudele, angoscioso sul quale Bellocchio ricorda : “Lo concepii a Londra: avevo preso il diploma di regia alla Slade School e seguendo la mia tendenza all’isolamento, non volevo, sbagliando, seguire la trafila classica da ultimo assistente in su, ma capivo anche di dover fare un film che sentissi e potessi realizzare. A basso costo. E venuta così la storia della mia famiglia trasfigurata. Vedendo il girato, mi resi conto che non potevo affrontare da solo il montaggio e mi affidai un po’ troppo a Silvano Agosti, mio compagno al Centro Sperimentale. In seguito mi è stato chiesto di chi era il film. Poi, forse per fragilità di carattere, quando è arrivato il successo internazionale, con la gente che mi attribuiva cose che non avevo mai pensato, non potevo reggere“.

 


 

Nel 1980 esce “Salto nel vuoto” premiato a Cannes per le interpretazioni di Anouk Aimée e Michel Piccoli.

“Mauro e Marta lui giudice, lei casalinga sono fratello e sorella che vivono insieme da quando sono nati. In Mauro nasce il sospetto che la follia, un’eredità di famiglia, possa annidare e insorgere in Marta, e l’angoscia a tal punto da desiderarne la morte. Fallita una manovra che gli si ritorce contro, e vedendo che la sorella, anzi, sta conquistando la propria autonomia di donna, al giudice non rimane che il suicidio, il salto nel vuoto.”

Di questo periodo Bellocchio ha detto:
E’ una costante, che è la mia incapacità a vivere di rendita sui risultati ottenuti, l’esigenza di voltare pagina, vivere nuove esperienze o forse anche fuggire. Per questo modo di fare così illogico ho pagato dei prezzi, fatto degli errori, nel senso che qualche volta ho progredito, qualche altra ho regredito. Ad esempio ho pensato che con “Salto nel vuoto”, un film che amo molto, si fosse concluso il mio romanzo familiare che invece ho ripreso subito nel film successivo. Ecco, questo spiazzare di continuo il pubblico e me stesso è una costante del mio lavoro e in qualche caso corrisponde a una sincera insoddisfazione o insofferenza di non trovare immagini nuove, in qualche altro a una fuga, quando insoddisfazione e fuga non sono entrambi presenti.”

 

Nel 2002 esce “L’ora di religione” con Sergio Castellitto e Piera Degli Esposti.

Ernesto, ex comunista ed ancora profondamente ateo, si ritrova nell’incubo della beatificazione della madre, procedura richiesta dai suoi fratelli. E come se non bastasse, suo figlio vuole frequentare a scuola l’ora di religione per non sentirsi diverso. L’unico spiraglio di luce arriva ad Ernesto dall’improvviso innamoramento per Diana.

Bellocchio ha detto di questo film:
Il film nasce da un’intuizione, da un’immagine, dal ribaltamento di un’icona. E’ come se si realizzasse la cosa più improbabile, più assurda più lontana. E’ come quando vedi un personaggio che hai sempre visto in un certo modo e improvvisamente scopri che potresti rappresentarlo in modo opposto.
Naturalmente questa intuizione, delle cui origini non mi sono neanche preoccupato più di tanto, è nata da un clima. In questo senso è molto importante dire che l’artista in fondo reagisce a ciò che avviene: il clima è quello del Papa, del giubileo, della moltiplicazione dei santi, del fatto che in questi anni è scomparso un certo tipo di autonomia laica, non dico di dignità ma di autonomia; un pensiero autonomo non è più formulabile, perché sembra una cosa un po’ da pazzi dire: “La mia vita io me la tengo qui, sulla terra, nei rapporti umani”, quasi che tutti volessero riservarsi uno spazio di paradiso. E’ stato questo clima, in cui la grande utopia socialista di cambiare il mondo si è dissolta dando spazio a un altro tipo di autorità: quella vaticana, quella religiosa, che è maturata questa ribellione, questa forma di contrapposizione.”

 


 

Nel 2009 Bellocchio firma “Vincere” con Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno sulla tragica vita di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini, che da lui ebbe un figlio, Benito Albino Mussolini, che morì con la madre in un ospedale psichiatrico di Milano dove il Duce li aveva fatti internare.

All’epoca in una intervista il regista piacentino racconto’:
Attualmente sto ultimando una prima versione della sceneggiatura. Il film racconta il rapporto tra Ida Dalser e il giovane Mussolini quando ancora era socialista. Da questo rapporto nascque un figlio, Benito Albino. Mussolini lo riconobbe e il giorno dopo, in puro stile italiano, sposò civilmente Rachele, da cui cinque anni prima aveva avuto una figlia, Edda. Con l’ascesa al potere, per ingraziarsi il Vaticano e firmare i Patti lateranensi, per cui sarebbe stato definito dal Papa “l’uomo della provvidenza”, Mussolini si sposò in chiesa, fece battezzare i figli nati dal matrimonio, fece rinchiudere Ida in manicomio. Era la ragion di stato. Ma la Dalser non si rassegnò mai, continuò a ribellarsi, come se cercasse una giustizia impossibile e perciò una fine tragica. Quello che mi affascina è proprio l’indomabilità di questa donna che non vuole accettare la realtà, mentre assiste incredula e affascinata all’ascesa di Mussolini. Poi però, quando è rinchiusa in manicomio, a un certo momento è come se “vedesse”, diventasse saggia, lo dimostrano le sue lettere profetiche.”

 


 

Terminiamo con “Sangue del mio sangue” la sua ultima fatica. Che purtroppo e’ stato ignorata dalla giuria del Festival di Venezia nonostante le buone recensioni della critica.

Bellocchio in una recente intervista ha dichiarato:
Cercavo nuove location, non posso mica girare sempre a casa nostra, e scoprii queste carceri abbandonate. Ho pensato di ricreare la vicenda della monaca di Monza, che mi ha sempre affascinato. Però mentre Gertrude, anche lei murata viva, si pente e una volta liberata finisce la vita in odore di santità, Benedetta, dopo tanti anni di prigione, non è pentita: quando il muro viene fatto abbattere da Federico, nel frattempo diventato cardinale, riappare ancora giovane e bellissima. A lui viene un colpo apoplettico. Il film nasce da questo frammento. Mi piaceva poi raccontare del gemello sopravvissuto che si vendica. Prima s’innamora della donna che ha portato alla rovina suo fratello, poi nel momento più importante si ritira, scappa e la fa condannare. Ma lei lo aspetta e lo uccide mentre lui compie l’azione benevola di liberarla“.

 

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