Il figlio dell’altra

Mercoledì 20 marzo “Il figlio dell’altra” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.

Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.

Dati Tecnici
Regia: Lorraine Levy
Con: Emmanuelle Devos, Jules Sitruk, Pascal Elbé, Bruno Podalydès e Ezra Dagan.
Durata: 105 min

 

Trama del film
“Durante la visita per il servizio di leva nell’esercito israeliano, Joseph scopre di non essere il figlio biologico dei suoi genitori, poiché appena nato è stato scambiato per errore con Yacine, palestinese dei territori occupati della Cisgiordania. La rivelazione getta lo scompiglio tra le due famiglie, costringendo ognuno a interrogarsi sulle rispettive identità e convinzioni, nonché sul senso dell’ostilità che continua a dividere i due popoli.”

 

Trailer
http://www.youtube.com/watch?v=9ss_XegPbaI

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  1. Stefano Chiesa scrive:

    Piu’ ci penso piu’ “Il figlio dell’altra” mi piace e per questo ho lasciato un po’ a sedimentare i miei giudizi.

    Che sono appunto molto positivi, in questa opera la regista Lorrain Levy (francese di nascita ma di origine ebrea) decide di lasciar perdere gli alti temi politici e di cercare i torti e le ragioni e preferisce raccontare una storia personale ed umana dalla parte di chi vive ogni giorno i problemi del conflitto.

    Pur se forse avrei apprezzato una visione piu’ ampia sull’ambito sociale e sulle implicazioni di questo scambio nelle figure vicine alla famiglia, capisco la scelta della regista di raccontare il tutto con maggiore intimità e forza.

    In questo film sono soprattutto le donne che riescono, con il loro amore materno e con la loro grande pazienza, a superare ogni senso di paura e di disagio per l’”altro” e ricreare una inusuale, ma solida unione familiare, cosa che invece i loro uomini bloccati dai dubbi e dall’odio non riescono a fare.

    Un film, fotografato meravigliosamente sui panorami di Tel Aviv e della Cisgiordania, che si conclude con un commovente e per niente retorico messaggio di speranza affidato alle nuove generazioni.
    Proprio coloro che nel film dovrebbero perdere la loro identità e i loro punti fermi e che invece sono i piccoli artefici di una possibile integrazione.

    Consigliatissimo a tutti nella speranza che rimanga in sala abbastanza (beh poi ci sono le arene estive per recuperare il meglio della stagione !!!)

  2. Davide Righini scrive:

    Immagino che per una madre gìà l’idea che il figlio da lei cresciuto non sia quello da lei partorito farebbe gelare il sangue nelle vene….se addirittura ci si mette pure la nazionalità (che implica un “necessario” odio tra due popoli come quello tra israeliani e palestinesi) la situazione sarebbe quasi insostenibile. Ma l’essere umano (soprattutto se di sesso femminile) può uscirne…Questo è un film che “funziona” semplicemente sulla sceneggiatura…diventa splendido poi grazie ad un cast stellare…tra tutti il padre israeliano è azzeccatissimo..un militare…un uomo “uso ad obbedir tacendo”abituato com’è a dividere gli amici dai nemici è come paralizzato (e come potrebbe non esserlo?)…il bello del film è che qui non si parla di eroi o di persone squallide…qui vediamo una vita borghese svilupparsi di quà e di là del muro…c’è gente che vive la propria vita con serietà (il ragazzo musulmano) e con allegria (il ragazzo israeliano). Il film non vuole (per quanto possibile) dare soluzioni…cerca, per quanto possibile, di mantenesi asettico (semmai è la Francia che ne esce bene, ma si può ben capire, visto che i capitali per fare questo film da lì vengono..eh..eh..). Una piccola chicca anche per questo…se vogliamo ne possiamo trovare a iosa di film “a tema” contro gli israeliani o contro i palestinesi…lasciamoci per una volta trasportare in un mondo di finzione dove le soluzioni non sono necessariamente l’annichilimento dell’altro. Mi vengono in mente le immagini del 1993 quando ci fu l’incontro tra Arafat e Rabin http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.realclearpolitics.com/images/wysiwyg_images/rabin-arafat.jpg&imgrefurl=http://www.realclearpolitics.com/lists/famous_political_handshakes/rabin_arafat.html&h=300&w=450&sz=230&tbnid=vXlIrdZDfWNf9M:&tbnh=90&tbnw=135&zoom=1&usg=__fsXiZW2xTpd2IQKLcIL6GAJ50VA=&docid=YrPawuHSOvFiUM&hl=it&sa=X&ei=Ru1RUda6MJHE4gSV5IDYBg&ved=0CEcQ9QEwBA&dur=886 Un soldato, Rabin, disse parole splendide in quell’occasione: fu ucciso da un ebreo estremista pochi anni dopo…La strada è ancora lunga e forse un giorno pure questo film diventerà un esempio di come stavano le cose prima

    Risultato della ricerca immagini di Google per http://www.realclearpolitics.com/images/wysiwyg_image
    http://www.google.it

  3. Omer Loncours scrive:

    Partendo da un tema ultimamente abbastanza sfruttato come lo scambio di due bambini nella culla, il film si dipana in modo superficiale sulle problematiche della situazione israelo palestinese. Il racconto, poco più di una banale commedia, ci vuole raccontare come potrebbe abstare “conoscersi” per poter affronatare e superare le distanze che due governi impongono alla loro popolazione. A parte le suggestive scene dell’attraversamento del muro, direi che manca completamente della tensione che separa questi due popoli. In particolare trovo assolutamente sconclusionata la scena in cui Joseph entra da solo nel villaggio Palestinese in cerca della sua seconda famiglia, credo che qualsiasi palestinese l’avrebbe riconosciuto come israeliano al primo sguardo e di certo non l’avrebbe ignorato come è rappresentato nel film. Anche la risoluzione e l’accettazione, sacrificando le divsioni culturale sull’altare dei rapporti familiari mi è sembrato abbastanza forzato. Direi un prodotto commerciale che trasmette un’idea molto superficiale di quella realtà.

  4. Stefania Chines scrive:

    Un film che mi ha attratta fin dal primo momento in cui ho visto il trailer. E la visione ha superato le aspettative. Perché lo scambio dei neonati diventa il pretesto per parlare di amicizia. Quella vera. Che supera ogni barriera, travalica le frontiere, abbandona i pregiudizi. Un’emozione che penso che ognuno di noi vorrebbe provare. in un istante particolare della tua vita un amico o un’amica ti accoglie a braccia aperte, ti spalanca le porte di casa e ti abbraccia.
    Nel film l’ambientazione è affascinante. Si viaggia in terre lontane, attraverso tradizioni e usanze diverse rispetto al nostro quotidiano. Ma i sentimenti sono gli stessi. Il pianto, la gioia, la commozione, il dolore, lo stupore non cambiano. E sono negli occhi di chiunque scopra che, al di là di un filo spinato, di un muro, di un posto di blocco, c’è un mondo diverso. Che ci aspetta.

  5. Carolina Garbin scrive:

    E’ un film che ho ampiamente goduto (e anche la pizza dopo che mi ha chiarito molti concetti sull’argomento)….Diciamo che il messaggio che piu’ mi ha toccato di questo film e’ di come Lorraine Levy mostra la speranza legata ai giovani che in un contesto culturale cosi’ particolare sentono meno il peso del DNA e,se spinti dagli eventi,possono finire per conoscere l altro e trovare tante cose in comune,convincendosi ome la natura sia solo la premessa di una vita che si nutre della quotidianita’ di chi ti ama e che per questo diventa famiglia.La frase che ho trovato piu’ interessante e’ “quando sono il mio peggior nemico mi devo amare lo stesso”……e’ una frase molto vera ….non c’e’ scampo a noi stessi.

  6. Ugo Besson scrive:

    Molto bello, tocca con garbo temi profondi e problemi attuali, con dialoghi azzeccati e senza retorica, bravi gli attori, in particolare Emmanuelle Devos, avvolgente, raffinata e materna. Efficaci le immagini dei due ambienti, così differenti, e le relazioni fra i giovani che trovano cmq tante cose in comune o su cui incontrarsi e comunicare (speranza per un futuro di pacificazione?). Il film interroga non sulle motivazioni politiche e economiche del conflitto fra israeliani e palestinesi, che ci sono e hanno un senso, ma sull’odio viscerale e a priori per chiunque sia dell’altra parte. Siamo il nostro DNA genetico oppure quello che abbiamo fatto e vissuto per vent’anni, o meglio in quale misura siamo l’uno e l’altro? Fratelli si nasce o si diventa stando insieme e condividendo le cose? E tuo figlio non è soprattutto chi hai trattato come tale con affetto per anni? Il film gioca con i rimandi ereditari, che cmq hanno un peso, l’uno ama la musica come il padre biologico, l’altro farà il medico come la madre biologica. Certo, se lo scambio fosse stato fra due della stessa etnia tutto sarebbe stato più semplice, ma meno significativo. Bella la frase della sorellina preoccupata dopo aver saputo: “ma allora dobbiamo restituirlo?”.

  7. Annafranca Geusa scrive:

    Non era facile, credo, fare un film nel contesto dell’interminabile conflitto Israele-Palestina senza cadere nel già visto, oppure nella retorica o nel fazioso. Eppure è successo.

    Senza troppi indugi sull’aspetto politico, “Il figlio dell’altra” riesce a trasmettere soprattutto il senso della quotidianità della vita di due popoli, che noi dall’esterno sappiamo solo odiarsi, come poche volte è stato visto al cinema, mentre più facile trovarlo nei libri di autori come Yehoshua o Grossman.
    La forza e la bellezza di questo film risiede soprattutto in questo e nella forza di sentimenti semplici e potenti come quelli familiari che esulano, o meglio, si immergono nel conflitto, superandolo pur senza pretese di impartire lezioni, o facili speranze.
    La diffidenza e il rancore sono tangibili ma non violenti, il disagio di un popolo barricato e privato di speranza e sviluppo e la paura dell’altro minacciato rimangono lì, eppure prorompono i legami fraterni, paterni, materni, incrociandosi in relazioni e contatti delicati ma profondi e dove l’identità viene messa in discussione di fronte ad un’unica grande famiglia.
    E quello che mi viene in mente non è il conflitto, le differenze sostanziali di vita e le reciproche recriminazioni, ma la cooperazione che tante volte vede insieme israeliani e palestinesi (medici, e altro) uniti insieme a combattere le avversità oppure a costruire, qualcosa.
    Il finale l’ho trovato perfetto, in tempo giusto per godere della bella solidarietà e non travalicare nel banale o nel retorico.

    La musica davvero bella di Dhafer Yussef (jazzista tunisino, per me una sorpresa) ha fatto da perfetto sottofondo anche ai vasti e significativi panorami su Gaza e Tel Aviv che ben sottendono alle riflessioni dei due ragazzi. E di tutta la scenografia schietta dei confortanti interni familiari, delle case malandate ma piene di vita di Gaza, dei muri, reticolati e check-point, e della moderna citta israeliana . Bravi e profondamente semplici tutti gli attori e la regia.

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