Intervista a Ken Loach

Grazie alla collaborazione di BIM Distribuzione diamo la parola direttamente al regista di “La parte degli angeli (The Angels’ Share)” il film protagonista dell’uscita di questa sera degli Amicinema.

 

Ken Loach ci racconta le idee che sono alla base del film senza svelarci troppo della trama che scopriremo con piacere questa sera. 

 

Perché questa storia ?

Verso la fine dello scorso anno, il numero di giovani disoccupati in Gran Bretagna ha superato per la prima volta il milione. Volevamo raccontare una storia che riguarda questa generazione di giovani che spesso ha come prospettiva un futuro vuoto. Sono pressoché certi che non avranno un’occupazione, un impiego fisso, un lavoro sicuro. Che effetto ha questa consapevolezza sulle persone e come vedono se stesse?


Numerosi suoi film precedenti erano ambientati a Glasgow. Perché l’ha di nuovo  scelta per questo film ?

Storie analoghe si possono trovare anche in altre città, come ad esempio Liverpool, Newcastle o Manchester, e probabilmente in alcune aree delle Midlands, ma Paul viene dalla costa occidentale, quindi Glasgow corrisponde al suo linguaggio ed è il luogo dove scrive meglio. Inoltre, è una città talmente intensa che ci è sembrata il luogo ideale per ambientare il film: la sua forza è nella cultura della gente, nel suo senso dell’umorismo, nell’atteggiamento che ha nei confronti della vita e nelle pagine di storia che sono state scritte lì. Si tratta di una cultura molto collettiva e tutt’altro che individualista e tuttavia la gente ha le stesse difficoltà che ha in qualsiasi altra città.


Perché una commedia ?

Per amore di contraddizione in realtà! Abbiamo sempre voglia di seguire un percorso inaspettato. Abbiamo fatto un film come Sweet Sixteen, che parla di ragazzi, più giovani di questi, in una situazione altrettanto impossibile, che finisce tragicamente. Ma quello stesso genere di personaggi nella vita vivrà eventi a volte comici e a volte tragici. E quindi abbiamo pensato di scegliere una situazione comica.


Qual è stato il punto di partenza La parte degli angeli ?

L’essenza di un film è sempre costituita dalla sceneggiatura e dall’identità dei personaggi. Poi c’è la scelta degli attori. Li abbiamo cercati a lungo e abbiamo visto molti ragazzi per il ruolo di Robbie. La selezione è un graduale processo di eliminazione. Incontri molte persone che potrebbero andare bene, ma non esattamente nel senso che vuoi tu. La scelta dei luoghi fa parte del lavoro di preparazione e in questo caso per farlo abbiamo dovuto visitare molte distillerie, il che non è stato affatto complicato!

Come sono andate le riprese ?

C’è stato un intoppo iniziale: sono caduto e questo ha provocato un leggero ritardo che ci ha infastiditi (NdR. tre settimane di ritardo a causa di un colpo alla testa a Loach per essere inciampato su un gradino). A parte questo, i produttori sono stati così scaltri da riuscire spesso ad anticipare e risolvere preventivamente i problemi prima che si verificassero. Si sono comportati come un’orchestra armoniosa, con David Gilchrist, il primo aiuto regista, a dirigere i violini. Probabilmente se la caverebbero senza direttore d’orchestra.


Filmare una commedia è più divertente ?

A dire il vero è sempre un lavoro complesso. Mi sveglio la mattina con i sudori freddi e penso: ‘Riuscirò ad arrivare alla fine della giornata? Ce la faremo a finire?’. Sono troppo sotto tensione per riuscire a divertirmi. Certo, succedono invariabilmente cose divertenti nel corso di una giornata, ma la sensazione prevalente che ho al mattino ruota intorno al lavoro che devo riuscire a portare a termine e a quella piccola onda di panico che mi assale per il timore di non farcela. Una parte del lavoro di un regista consiste nel celare il panico interiore, perché non lo può lasciare trasparire.


Prova ancora queste sensazioni dopo aver fatto tanti film ?

Ogni giorno, per tutto il giorno, sì. Anche nei giorni che sembrano relativamente facili, ho sempre la sensazione di dover scalare una montagna e non sembra diventare più facile. Alcune cose risultano più semplici, perché ho imparato quali scorciatoie posso prendere e come riuscire a cavarmela, ma lo sforzo fisico che compio annulla questi benefici.
È un lavoro che richiede molta energia: non puoi mai rilassarti, perché se lo fai se ne accorgono tutti e il livello di energia cala. E se diminuisce il livello di energia, l’interpretazione degli attori ne risente.
Un regista deve generare adrenalina per “accendere” gli attori. Non puoi avere un set del tutto serafico e aspettarti delle interpretazioni forti. E non è giusto lasciare l’onere agli interpreti. Non puoi sederti rilassato a guardare un monitor e dire: ‘Bene, tocca a voi, forza’.
Gli attori hanno bisogno di percepire tensioni e pressioni costruttive e tra loro deve circolare energia costruttiva in modo che possano innescarsi reciprocamente. È compito del regista generare questo clima. Quello che avviene davanti alla macchina da presa, quello che gli attori hanno negli occhi, come interagiscono tra loro sono fattori fondamentali.
Per questo il regista deve ritmare i piccoli picchi di energia, consentire momenti di rilassamento durante le fasi di allestimento delle scene, di spostamento, di preparazione del set in generale e poi ridare la carica.
E per farlo deve ricorrere a piccoli espedienti: a volte gli basta semplicemente correre avanti e indietro e precipitarsi su di loro con la macchina da presa. L’energia che qualcuno può emanare è contagiosa.
È il motivo per cui considero i monitor mortali: quando un regista si trincera dietro a un piccolo schermo, si taglia fuori e smette di essere uno strumento di comunicazione. Equivale a dire: ‘Che lo faccia qualcun altro’.


Cosa spera che ricavi il pubblico da questo film ?

Spero che si diverta a conoscere i suoi protagonisti, in particolare i giovani che vengono tacciati di essere ‘piccoli criminali’ o ‘parassiti scansafatiche’ o quant’altro, e che si renda conto che in realtà sono persone reali, complete, genuine, spiritose.
E che per ognuno di quel milione di disoccupati citato dalle statistiche c’è un ragazzo che ha davanti un futuro con pochissime speranze. Tra questo milione di ragazzi noi ne presentiamo quattro. Non è interessante conoscerli? Non sono complessi e preziosi, degni di avere qualcosa? Spero che il pubblico veda questo mentre si gode la storia.

 

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