I migliori film della nostra vita (con Ugo Besson)

C’è un confuso brusio di parole, proprio come in un set cinematografico prima del ciak, e macchie di colori e profumi.
Dove ci troviamo? Ecco, il brusio si placa rapidamente come un’onda che ritorna in mare, i colori si stemperano in una sola tinta indefinibile: silenzio, inizia il film…
Ma il vero film sappiamo bene che è fatto da ognuno di noi. Provate a voltarvi durante una proiezione e “guardare il film” sui volti stupiti, frementi, addolorati degli spettatori, anzi delle persone: mille sceneggiature in un unico film.
Ognuno di noi trova parte di se stesso nel personaggio o nella musica o nella storia. In qualche modo è ciò che siamo stati o che avremmo voluto essere almeno in un momento della nostra vita, che volevamo dire, fare… baciare.
In questa chiave, nessun film può essere considerato un brutto film, perché una pellicola vive attraverso le emozioni che una persona muove individualmente. Un film è molto più di una bella trama, un bravo attore, ottima fotografia, musica azzeccata; un film è quello che sei, che vorresti o non vorresti mai, e ridi e piangi proprio per questo.

E’ così che chiediamo ai nostri lettori di esprimere una preferenza sui tre migliori film della propria vita, con questa voglia di raccontarsi e raccontarcelo, perché quella sua emozione diventi anche nostra.


Continuiamo questa rubrica con le parole e le emozioni di Ugo Besson e i suoi tre film preferiti che lui ha riassunto in questo racconto intitolato “
Tre film e un professore.

 

Il laureato (regia di Mike Nichols, con Dustin Hoffman), L’attimo fuggente (regia di Peter Weir con Robin Williams), Bianca (di Nanni Moretti, con Laura Morante): tre film diversi che ho incontrato insieme e mi hanno molto coinvolto per i temi trattati.
 
Erano anni in cui a un certo periodo dell’anno scolastico, in genere in autunno, gli studenti decidevano di fare “autogestione”, cioè interrompevano le lezioni e organizzavano dibattiti, incontri, spettacoli, corsi. In molti casi presidi e insegnanti decidevano di trattare e tollerare, in cambio del rispetto di alcune regole, per minimizzare i rischi e la durata. Gli studenti poi chiedevano ad alcuni insegnanti, docenti universitari, esperti vari di fare interventi su argomenti di loro interesse.
Mi chiesero di intervenire, naturalmente su temi che riguardavano la scienza, il rapporto fra la scienza e il potere politico ed economico.
Cominciavo a pensare al progetto Manhattan, la big science, il Galileo di Brecht, la gara spaziale, il caso Lysenko, quando vedo un’aula affollata di studenti attenti dove un prof d’italiano e una prof di storia dell’arte (per la quale avevo un debole, occhi azzurri e un bel sorriso luminoso alla Julie Christie) parlavano del rapporto fra genitori e figli, dell’esser giovani oggi e ieri, citando poesie e romanzi e mostrando immagini di opere d’arte.
Ero invidioso e geloso, sia del prof d’italiano che ammiccava alla graziosa collega (dovevo inventare qualche attività interdisciplinare su arte e scienza…) sia del fatto che loro riuscivano a suscitare un’attenzione che io non ottenevo mai con le mie lavagne piene di equazioni (penna, pennello e bacchetta sono le tre invidie del matematico e dello scienziato, scrive Odifreddi).
Decido che non mi va di parlare di scienza e potere, voglio anch’io trattare questi temi più coinvolgenti. Invece di poesie e quadri, scelgo di utilizzare spezzoni di alcuni film, che avevo visto nel cineforum organizzato in quei giorni (in quel periodo andavo poco al cinema, non c’era amicinema).


L’attimo fuggente mi sembrava molto adatto, ambientato in una rigida scuola-collegio della fine degli anni 50, con un bravissimo Robin Williams nella parte del nuovo insegnante. Poi avevo sentito che i ragazzi e molta critica lo descrivevano come l’insegnante ideale che tutti vorrebbero avere. Il titolo originale del film era Dead Poets Society, il Circolo dei poeti estinti, dal nome di un gruppo di studenti appassionati di poesia di cui l’insegnante aveva fatto parte da ragazzo.
Il film è suggestivo, ben raccontato, con alcune scene che rimangono impresse, lo trovavo bello ma non eccezionale, soprattutto la figura dell’insegnante mi sembrava un esempio negativo, di cattiva pedagogia, un cattivo maestro che vuole introdursi nella vita degli allievi, condizionarli e convincerli, con una specie d’integralismo pedagogico, che vuole suggestionare invece che argomentare e fornire risorse culturali.
Mi aveva impressionato negativamente la scena in cui l’insegnante fa strappare agli studenti alcune pagine del libro di testo, da lui considerate fuorvianti perché cercavano di razionalizzare un po’ grossolanamente la poesia. Avevo ancora in mente Fahrenheit 451 di Bradbury-Truffaut con i libri bruciati e la cosa m’inquietava. Così attaccai direttamente la figura e il mito dell’insegnante che guida e trascina.
L’insegnante insegni, non faccia il predicatore, perché poi gli effetti, come nel film, possono essere devastanti (nel film alcuni allievi si appassionano a poesia e arte, rifondano il circolo dei poeti estinti, scivolano verso un’identificazione fra poesia e vita, poi uno di loro recita in uno spettacolo teatrale, una tragedia di Shakespeare, contro il parere del padre, nasce un conflitto, il ragazzo alla fine si suicida, il prof viene espulso).

 

 

Ne Il laureato, Benjamin, un giovane appena laureatosi con successo deve decidere il suo futuro ma è a disagio nel suo incontro con il modo adulto, non è un ribelle, ma si sente estraneo e non riesce ad accettare le regole e i valori del suo ambiente, vorrebbe anche consigli e aiuto dagli adulti ma verifica ripetutamente l’esistenza di incomprensione e incomunicabilità (“è come se partecipassi ad un gioco le cui regole per me non hanno senso”).
Diventa l’amante di una donna sposata amica dei genitori, il cui marito, ignaro della relazione, lo spinge a frequentare la figlia Elaine. Benjamin all’inizio resiste ma alla fine s’innamora e fra i due inizia una bella storia, poi però la situazione esplode quando Benjamin è costretto a confessare a Elaine la relazione con sua madre.
È un bellissimo film, con un’interpretazione eccellente di Dustin Hoffman, al suo primo successo, due bravissime attrici Anne Bancroft e Katharine Ross, la stupenda colonna sonora di Simon and Garfunkel, soprattutto una regia magistrale, con riprese di grande efficacia e felice scelta dei tempi, un ritmo crescente verso il finale suggestivo ed evocativo.
In una scena Benjamin indossa la tuta completa da subacqueo regalatagli per il compleanno e attraverso la maschera vede i genitori e gli invitati che gli parlano, li vede ma non li sente, espressiva rappresentazione di incomunicabilità e separatezza.
La corsa finale per raggiungere la chiesa dove Elaine sta per sposarsi con un altro mi è rimasta a lungo impressa come un esempio e uno stimolo a non rinunciare, a mettercela tutta, di fronte a qualche obiettivo difficile ma che sentivo giusto e importante, “dai, non rinunciare”, mi dicevo, “devi essere convinto, non avere paura di fallire, corri deciso, come il laureato”.
Ben arriva alla chiesa, non può entrare, ma riesce a salire su una balconata e da lì, attraverso una vetrata, può vedere dall’alto l’interno della chiesa dove si sta celebrando il matrimonio, sbatte forte i pugni sulla vetrata e urla, un vetro lo separa dal mondo degli adulti, che non lo capiscono, non lo ascoltano, Elaine lo sente e lo vede, si gira e vede i volti rabbiosi degli altri, poi grida “Ben” e tutto cambia, lui scende nella chiesa e così rompe l’argine e irrompe nella realtà, finalmente affermando e liberando se stesso e le sue aspirazioni. Il finale comunque non è solo un happy end, la coppia se ne va su un autobus, sorridente, felice, lui è finalmente rilassato, ma poi entrambi guardano un po’ incerti nel vuoto e nel futuro: ora sono diventati adulti, hanno preso in mano la loro vita, ma per farne cosa, non lo sanno bene.

 


Bianca lo metto lì perché c’è la scuola, un prof di matematica, Michele, e una prof di francese, Bianca, e c’è il tema dell’amore, della fedeltà e della fragilità dei sentimenti e dei legami sentimentali. Inoltre, sono un fan di Nanni Moretti, di cui ho visto tutti i film.
Bianca è forse il migliore, il più complesso. Il film mostra dove può condurre un eccesso di rigore e rigidità morale, di volontà di pulizia e di purezza.
Come scriveva Camus in un romanzo, combattere le malvagità e le ingiustizie è cosa buona e giusta, volerle eliminare tutte è cosa pericolosa, che può fare più danni che bene. Michele vuole interrompere la relazione appena iniziata con Bianca, non vuole essere felice perché poi tanto le relazioni si deteriorano e si soffre. Per lui tutto deve essere pulito e perfetto e quindi elimina gli amici che secondo lui stanno sgarrando.
Ci sono scene cult, come l’enorme barattolo di Nutella, lo schedario che lui tiene sulle storie degli amici, la scena con lo psicologo, il Mont Blanc e la Sacher Torte (“continuiamo così, facciamoci del male”).
E la scuola “Marilyn Monroe”, allegra e un po’ surreale: il preside mattacchione, la lezione su Gino Paoli, l’allievo secchione che continua a parlare alla lavagna di tangenti e secanti mentre il prof Michele pensa ad altro (“non hai proprio nessuna pietà, tu …”).
Scene comiche o paradossali ma anche interrogativi sul rapporto che potrebbe avere una scuola meno conformista con la cultura popolare del tempo. Un film intelligente, ricco di cose su cui sorridere e di spunti su cui riflettere.

 


Qualche giorno dopo il mio intervento la collega Julie Christie mi si avvicina e dice che gli studenti le hanno raccontato del mio intervento, dice che è sorpresa, non si aspettava sapessi parlare così intensamente su temi di questo tipo, e mentre parla mi guarda, mi sembra (mi illudo?), con un sorriso particolare … forse ho fatto breccia.
Rispondo che comunque io non sono come Michele del film di Moretti, non ho paura di avere una relazione d’amore, anche con una collega … 

 

Queste le parole e i ricordi cinematografici di Ugo. Non siate timidi, mandateci anche i vostri contributi, vi aspettiamo su questa rubrica per fare un emozionante salto nel passato !!!

 

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  1. Cristina Bellosio scrive:

    Bravo Ugo..ottimo contributo !

  2. :D Della superiorità delle “scienze” umane sulle scienze “non umane”…

  3. Pietro Diomede scrive:

    Grande Ugo…..sinceramente non avevo mai pensato a questa visione de L’attimo Fuggente….e a ben pensarci quello che mi ha fatto fare quel film (l’ho visto che ero i 5 superiore e capo classe battagliero immagina te) ti devo dare ragione….. :-)

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