Monsieur Lazhar

Mercoledi’ 5 settembre “Monsieur Lazhar” e’ stato protagonista dell’uscita degli Amicinema.

Come da buona abitudine apriamo lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film.

 

Dati Tecnici
Regia: Philippe Falardeau
Con: Mohamed Fellag, Sophie Nélisse, Émilien Néron e Danielle Proulx.
Durata: 94 min

 

Trama del film
“Bachir Lazhar, immigrato algerino, è chiamato a sostituire un’insegnante elementare morta tragicamente. Mentre la classe avvia un lungo processo di elaborazione del lutto, nessuno a scuola sospetta quale doloroso passato gravi su Bachir che, in qualunque momento, rischia l’espulsione dal Paese.”

 

Trailer
http://www.youtube.com/watch?v=mQZqOxdOyy4

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  1. Stefano Chiesa scrive:

    Contrariamente a molti questo film mi ha commosso.
    Non è un film nel quale i sentimenti sono urlati o trasmessi con gesti o situazioni eclatanti.
    Sono invece tutti trattenuti sotto una superficie di dolore e malinconia… schermo protettivo che ogni tanto cede mostrando lampi della sofferenza di Lazhar (gli incubi notturni, gli oggetti della moglie scambiati per marmellata, gli interrogatori per l’asilo politico, la cena con la collega).
    È la forza placida e serena dei sentimenti…che non esplodono platealmente che erodono goccia dopo goccia le corazze difensive dei personaggi.
    Un altro aspetto che mi pare importante del film è quello del vero protagonista sotto i riflettori del regista.
    Sin dalle prime scene io ho pensato che non si parlasse della crescita e dell’elaborazione del lutto da parte della classe grazie a Lazhar, ma invece al suo contrario.
    Per me la pellicola parla della crescita emotiva di Lazhar… è lui che da crisalide diventa farfalla, imparando ad aprirsi agli altri e a dare un senso (o capire che non è possibile darlo) alla sua tragica perdita.
    La classe per me è solo lo sfondo della sua storia ed in effetti i miglioramenti dei bambini mi sembrano molto meccanici quando invece il cammino di Lazhar lo trovo molto ben descritto e credibile.

  2. Annafranca Geusa scrive:

    Monsier Lazhar è un film carino, delicato, forse troppo delicato che sorvola l’animo umano senza mai superare la superficie e lasciando talora qualche ombra di incongurenza.
    Lazhar, maestro improvvisato prendendo a prestito la professione della moglie, nella sua leggerezza fa tenerezza, ma non fa mai trapelare il dolore della perdita drammatica e violenta della sua famiglia, un dolore lacerante che non viene mai fuori, mai uno sguardo malinconico, mai un gesto inconsulto, soltanto questo essere un po’ impacciato, che si muove tentando il nuovo mestriere. E lui tenta, appunto, gli approcci un po’ maldestri, gli schemi scolastici da lui conosciuti e un po’ obsoleti e prova ad imparare dalla giovane e brillante collega i metodi educativi più moderni.

    E tentando di fare un mestiere a lui nuovo riesce comunque, senza scambi e forse anche senza empatia, ma anche senza vincoli istituzionali e con la purezza e forse l’incoscienza di un neofita, a portare fuori dal lutto una classe un po’ irreale, dove solo i due protagonisti sembrano avere una storia e un’anima mentre gli altri studenti sono ai margini della storia , stereotipati nel ciccio un po’ tonto, nella saccente antipatica con i genitori snob e indifferenti, nel disadattato che nasconde il cibo, nello studente straniero che tenta senza successo una complicità linguistica.

    E il successo di Lazhar pare sia dovuto proprio alla sua spontaneità, al suo percepire che le cose vadano affrontate di petto, magari accompagnandole anche da qualche abbraccio….abbracci che però sono tanto temuti nella scuola anche perché, probabilmente, all’origine del dramma che la stessa classe ha vissuto nel suicidio della giovane insegnante Martine, che ha scelto di morire nella classe da lei amata. E la rivelazione finale nella bocca di Simone risulta agghiacciante e stridente.

    • Cristina Bellosio scrive:

      Non concordo con il tuo commento Annafranca…ci sono momenti in cui la sofferenza di Lazhar si comprende, si percepisce, si respira, anche se espressa nel silenzio, senza gesti eclatanti… c’è la scena in cui si sveglia di notte vittima di incubi legati al suo passato…. c’è la scena in cui piange all’uscita della casa della collega…e ancora c’è la delicatezza con cui guarda e prende tra le mani gli oggetti nella scatola che appartenevano alla moglie…

      • Annafranca Geusa scrive:

        Vero, ho fatto un attimo mente locale, trovo strano però come queste scene non mi siano rimaste nella memoria., lasciandomi invece un sensazione finale più fredda e poco coinvolgente.

        • Cristina Bellosio scrive:

          Su questo punto concordo con te Annafranca…è un film che non trasmette grandi emozioni, che non commuove e coinvolge emotivamente in modo profondo….Io l’ho apprezzato per lo stile della regia, la delicatezza del tema scelto, i tanti contenuti che offrono molteplici spunti di riflessione…

  3. Un altro aspetto importante che attraversa il film e che è una delle chiavi che spiegano la capacità di contatto umano che Lazhar riesce a instaurare con gli allievi, oltrepassando la freddezza e la presunta, impossibile neutralità istituzionale, è che Lazhar è lo straniero, è colui che porta dentro di sè una storia difficile di distacchi e perdite, un doppio lutto personale da elaborare: la perdita della sua famiglia ma anche il distacco dalla sua cultura e dal suo mondo, terribile per quanto potesse essere. Lazhar ha una prospettiva multidimensionale: lui è fuori e dentro quel mondo solo apparentemente ideale in cui è approdato, ma di fatto pieno di contraddizioni. Lui, il migrante in cerca di asilo, porta dentro di sè l’inferno di chi va verso un destino sconosciuto, di chi deve ricostruirsi un mondo fatto di legami nuovi in un mondo che più o meno garbatamente, in maniera sottile ma non meno violenta, non perde occasione per ricordargli la sua estraneità. Quella estraneità è la sua forza e la sua condanna: da un lato lui riesce a oltrepassare dei muri invisibili, culturalmente determinati, fatti di regole non scritte o scritte solo in parte, entrando direttamente in contatto con il rimosso di dolori non elaborati, dall’altro, con questo oltrepassamento sancisce la sua estromissione da quella comunità invisibile fatta di omertosi perbenismi, di una società che ha relegato la relazione con l’altro in una serie di freddi e distaccati specialismi, di una scuola che non riesce a intercettare la vita e che ha abdicato al suo ruolo educativo. L’abbraccio finale è tuttavia una promessa di ricomposizione di quell’altro abbraccio impossibile diventato tabù in una società in cui civiltà è diventato sinonimo di disumanizzazione.

  4. Cristina Bellosio scrive:

    Ho apprezzato molto questo film, innanzitutto per lo stile narrativo del regista che definirei naturale, essenziale, minimalista, delicato, senza orpelli e ornamenti. La storia è narrata senza retorica e senza moralismi, senza sdolcinature e mistificazioni ; alla regia raffinata ed elegante si affianca un eccellente recitazione dei protagonisti principali, bambini compresi.
    In certi momenti ho avuto la sensazione che il linguaggio fosse più teatrale che cinematografico ; di fatto il film è tratto da un monologo teatrale che porta il nome del protagonista.
    Temi nel film ce ne sono molti, ma poichè è un flm che parla di educazione ( mia materia professionale) mi sono soffermata a riflettere sui messaggi che trasmette il film su questo argomento e personalmente ho ampiamente apprezzato. Lazhar non ha i requisiti professionali richiesti per insegnare, ma, pur impreparato all’insegnamento, ha alle spalle forti ed importanti esperienze di vita e come persona immigrata è portatore di un patrimonio culturale proprio, differente da quello canadese. Lazhar agisce in modo anticonformista, non contaminato ed influenzato dai formalismi e dalle convenzioni sociali presenti nella scuola. Con semplicità e senza gesti eclatanti, costruisce relazioni genuine con i suoi alunni, comprende la necessità di non patologizzare nè cercare di nascondere o sopprimere i sentimenti e vissuti dei bambini, che vivono il lutto della scomparsa della loro insegnante. Con la sua modalità semplice, senza eccesso di parole e sguardi e gesti semplici, insegna ai bambini a non fuggire il dolore, ma ad affrontarlo, dando espressione ai personali vissuti, ai sentimenti sopiti e nascosti. In questo processo educativo Lazhar trova anche linfa ed energia per “risuscitare” se stesso e ritornare a vivere. Bello anche il finale del film che usa il linguaggio della favola per lanciare un messaggio di “ritorno alla vita” ( la crisalide che diventa farfalla..) Altrettanto bella l’immagine finale dei due bambini che tornano a vivere, riscoprendo la propria amicizia, attraverso una semplice intesa di sguardi e sorrisi e la condivisione di dolci..

    • Cristina Ruggieri scrive:

      Bella recensione Cristina. Condivido in pieno tutto quello che dici. Ancora una volta l’anticonformismo di Lazhar, che tu giustamente metti in evidenza, significa non aver paura di affrontare la verità. Significa credere che la verità, per quanto violenta, è l’unica via che abbiamo per sfuggire agli incubi e ai fantasmi.
      Anch’io ho apprezzato molto lo stile lieve, oserei definire quasi pudico, con cui il regista sceglie di raccontarci questa storia.

  5. Daniela Lazzara scrive:

    Ahimè la pellicola non ha parlato al mio cuore!
    Non so se sia effetto dell’interpretazione del protagonista o di una sceneggiatura che ci consegna l’immagine di una classe, malgrado l’evento, poco “viva”, poco problematica, piatta. Ho pensato che il film potesse seriamente prendere il via dopo la scena in cui la piccola Alice parla davanti ai suoi compagni (discorso molto ben costruito il suo!) e invece le mie aspettative sono rimaste deluse.
    L’insegnamento di Bachir Lazhar, la netta distanza dalle scelte educative della scuola in generale (preside) e da quelle di genitori inconsapevoli dei bisogni dei figli è da apprezzare ma ho ancora la sensazione che sia il vissuto di Bachir, che il suo intrecciarsi alla vita dei bambini siano rimasti troppo in superficie. Per me è proprio un problema di intensità. C’è stato ben più di un film ultimamente, guarda caso uno proprio con una scuola sullo sfondo (Detachment), in cui l’intensità si è respirata anche solo attraverso sequenze non dialogate o tramite la forza di alcune immagini. Io qui non le ho colte.

  6. Elena Costa scrive:

    Film canadese molto bello che è stato paragonato a ‘L’attimo fuggente’, che a mio parere non ha nesso alcuno, se non l’ambiente scolastico. Non è un film che parla di scuola bensì di rielaborazione di lutti, perdite improvvise di persone amate. Non a caso credo il protagonista principale poi si chiami ‘Lazhar’, LAZZARO, colui che risorge. E’ di questo che parla il film, con toni delicati, con molte simbologie percepite da animi poetici, una lenta dolorosa risalita dalla mancata voglia di vivere, dal non comprendere la morte, dal prendere atto dei propri sensi di colpa che attanagliano l’anima, attraverso pianti improvvisi, rabbie incontrollabili e pian piano, tutti mano per la mano verso l’altro, sofferenza che aiuta la sofferenza altrui…verso il volo di una farfalla che faticosamente rompe il bozzolo. Nessuno esente da questa risalita, dal maestro agli alunni, dalle ipocrisie e falsi perbenismi della società, nei colpi di scena che piano piano costruiscono il plot del film, tutto verso un finale non scontato e che lascia pensare chiunque ciò che meglio crede. Decisamente un gioiellino.

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