Le note di regia di Giuseppe Piccioni

Riprendiamo dal blog di Teodora Cinema le interessanti note di regia di Giuseppe Piccinoni sul film “il rosso e il blu” che abbiamo visto mercoledi’ nella consueta uscita infrasettimanale degli Amicinema.

 

Il libro
Ho letto il libro di Lodoli e mi è venuta la voglia di farne un film. O meglio di fare un film partendo da quel libro e da quell’approccio che proprio l’esperienza personale di Marco, il suo essere in quella linea di trincea che è la scuola, rendono del tutto immune da qualsiasi rischio di retorica e di ammiccamento generico all’attualità. Abbiamo scritto un soggetto raccogliendo gli umori, i temi che erano seminati nel libro.

Ne abbiamo inventati di nuovi cercando un’omogeneità narrativa, un centro che, ci sembrava, fosse tutto in quel titolo Il Rosso e il Blu. È il titolo che ci ha fatto da guida nella scrittura allontanando qualsiasi ambizione al pamphlet di denuncia, al taglio sociologico facile identificando soprattutto proprio in ciò che evoca il titolo quel che ci stava più a cuore, quello che ci premeva che fosse difeso, protetto, sempre, di quel momento decisivo della vita di tutti.

 

Continuare a credere nella scuola (malgrado tutto)
La scuola, nella sua espressione più propria, che è quella di insegnare, o di arginare le pericolose deviazioni correggendo la rotta del destino di molti, aiutando a scoprire vocazioni e interessi, la scuola come missione di salvezza, sembra destinata a fallire. Sommersa da un insieme informe e variegato di condizionamenti, mitologie mediatiche, sottoculture, agguati di strada. Dove tutto ciò che è fuori dalla scuola sembra essere infinitamente più forte nella capacità di creare condizionamenti negativi, rispetto alla quotidiana fatica di tutti i migliori insegnanti. E nello stesso tempo non si può fare a meno, a ragione, di continuare a credere e a lavorare. Insieme a tutto questo c’è  l’amara, faustiana certezza del Prof. Fiorito, che tutto sia stato inutile. Che tutti gli studi, gli sforzi, non siano serviti a nulla. Che nessuna traccia è stata lasciata, nessun segno di cui essere orgogliosi, qualcosa che confermi la validità di una scelta fatta pensando alla scuola come ad una missione, indissolubilmente legata al bene di tutti.

 

Le persone al centro
Quindi niente periferie estreme, nessuna terra di frontiera, niente di facilmente tematizzato. La scuola c’è con le sue inadeguatezze e le sue disfunzioni, ma l’attenzione è tutta per le persone, adulti e ragazzi, ognuno a suo modo alle prese con una scelta. Crescere o disertare, restare nel gruppo dei più, oppure perdere contatto, perdersi per generosità o ingenuità, o andare avanti semplicemente, fare quello che hanno fatto i nostri padri e le nostre madri, niente di più.


Una storia corale e il primato dell’errore
La scelta è caduta su una storia corale, frammentata e frammentaria, che si tenesse alla larga, in ogni suo passaggio, dalla mera riflessione sociologica. Un racconto in cui ogni voce ha il suo timbro, la sua stonatura, in cui questa polifonia non costruisce mai un coro totalmente armonico, ma una modulazione variegata e ricca di sonorità che riflettono sullo stesso tema. Il Rosso e il Blu prova a raccontare un mondo sbriciolato che fatica a ritrovare un senso. Cerca di farlo con leggerezza, anche. Un mondo che soffre tanto dell’assenza di regole rigorose, quanto del fallimento di modelli di rinnovamenti alternativi, in cui il canale della comunicazione tra generazioni, tra adulti e ragazzi sembra essere irrimediabilmente interrotto. Un mondo in cui ognuno dei personaggi si barcamena tra un desiderio autentico di trovare un ordine e il caos che la vita produce. In quello scarto si apre il margine imprescindibile dell’errore, rosso o blu, per l’appunto. Poiché l’errore si produce, però, solo laddove c’è un desiderio e un tentativo reale di incontrare la vita e gli altri nelle loro contraddizioni, è proprio all’errore che si è attribuito il primato della conoscenza.

 

Nascondersi dietro i personaggi
Non ho cercato di raccontare storie raccolte dalle cronache dei giornali, ma l’ordinaria quotidianità di una scuola abbastanza “normale”, tentando di girare senza dare mai troppa importanza alla macchina da presa. Ho preferito nascondermi dietro i personaggi, dietro le storie senza per questo rinunciare qua e là a qualche piccola infrazione a questo mio proponimento, a lasciar intravedere qualcosa in trasparenza. Come nella scena dove la preside si reca a trovare l’alunno Brugnoli nella nuova scuola. O in quella del finale vero e proprio, dopo la rumorosa uscita dei ragazzi dalla classe.

 

Spontaneità e passione
L’obiettivo è stato quindi trovare una verità dedicando un’attenzione particolare agli attori, ai ragazzi, a quell’intreccio di stili di recitazione e a quel ventaglio di facce che rappresentano un mondo. Il Professor Fiorito con la sua vocazione a teatralizzare, in quello (la classe) che sembra proprio essere per statuto uno spazio teatrale, la sua deriva esistenziale e professionale. L’ostinata e a volte ottusa abnegazione del Prof Prezioso, l’equilibrio nervoso di una Preside attenta a distinguere sempre il “dentro” dal “fuori”, e insieme a loro l’incontrollabile energia dei ragazzi, i loro errori, la loro totale mancanza di calcolo e l’assenza di una rete di protezione. Agli attori, ai ragazzi, i non professionisti, con la spontaneità rubata alla loro esperienza diretta ma anche all’applicazione ostinata alle pagine di un copione, e a tutti gli attori adulti, alla generosa passione che hanno messo in questo lavoro, va il mio ringraziamento. Senza di loro, tutti, questo film non sarebbe stato lo stesso.

 

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