E’ solo un film…

E’ solo un film“: è la frase che pronunciamo spesso, all’uscita di una sala cinematografica dove per due ore abbiamo riso, pianto, amato, sperato, temuto, gioito per le vicende dei protagonisti, con grande intensità e partecipazione. E’ solo un film, diciamo, non è la vita. Ma non ne siamo del tutto sicuri, e abbiamo ragione. Tra il cinema e la nostra esistenza esistono tutti quei misteriosi, sfuggenti, tenacissimi legami che ci sono tra l’arte, la filosofia, la comunicazione dei media e la vita. E questi legami sono stati nel tempo oggetto di interrogativi e riflessioni.
 
Viene prima la filosofia o la civiltà che l’ha prodotta? L’arte ispira la vita o ne è ispirata? I media ci condizionano o ci rispecchiano
 
Difficile chiarire completamente questa intricata relazione. Nel caso del cinema la convinzione comune è che esso rispecchi la realtà, o almeno porzioni di essa. Ma si tratta di una idea molto ingenua: in ogni caso nel ritagliare, delimitare, riprodurre il mondo il cinema comunque opera scelte e selezioni, combina elementi, gioca sullo psicologico, riporta sensazioni: insomma interpreta.
 
In questa operazione, poi, il regista non utilizza solo gli elementi acquisiti, i dati che sono sotto gli occhi di tutti: nella sua visione entrano opinioni, sensazioni, e soprattutto (se si tratta di un vero artista) – quella percezione sottile di idee che sono nell’aria ma non sono ancora state espresse, di tendenze che ancora sono in nuce, ma devono esplodere, di mode che vedranno la luce solo domani. Il cinema, dunque, spesso anticipa la realtà.
Ma tale anticipazione sfuma di frequente in qualcosa di più: a volte il film influisce sulla realtà stessa, in altre parole la crea.
 
Le idee, le tendenze, le mode, gli eventi, colti dalla sensibilità del regista e fatti emergere dal mondo dell’indistinto, sullo schermo riconoscono se stessi, si dispiegano, si mostrano alla gente, in qualche modo la seducono. E usciti dalla sala cinematografica gli spettatori, più o meno consapevolmente, li portano nel mondo esterno, li traducono in azioni, fatti, atteggiamenti. Il ciclo si è compiuto, il cinema è diventato realtà.
 
E questo pone il tema molto importante della responsabilità di sceneggiatori e registi. In quanto creatori, essi sono almeno in parte responsabili, “padri” delle loro opere. Con il cinema si possono lanciare modi di vestire, modi di amare, modi di parlare, modi di mangiare; ma anche idee distruttive, emulazioni pericolose, culture aggressive. E’ triste pensare di dover sempre contenere l’arte negli stretti limiti di ciò che è “politically correct”. Ma è necessario, perché non succeda di creare qualche mostruosità, tra tanti capolavori.

 
(Emma Chiaia e’ giornalista professionista, scrittrice, counselor. Il suo blog e’ http://www.vitafelice.it)

 

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