…E ora parliamo di Kevin

Questo e’ lo spazio dedicato a tutti i commenti, critiche e spunti di discussione che vorrete lasciare sul film “…E ora parliamo di Kevin”.
 

Dati Tecnici

Regia: Lynne Ramsay
Con: Tilda Swinton, John C. Reilly e Ezra Miller.
Durata: 110 min
 
Trama del film

Il film è tratto dal libro ‘We Need to Talk about Kevin’ di Lionel Shriver. Eva mette da parte ambizioni e carriera per dare alla luce Kevin. La relazione tra madre e figlio è però molto difficile sin dai primissimi anni. A quindici anni Kevin compie un gesto irrazionale ed imperdonabile agli occhi dell’intera società. Eva lotta contro una profonda amarezza e atroci sensi di colpa. Ha mai amato suo figlio? E’ in parte colpevole di ciò che ha fatto Kevin ?.”
 
Trailer

http://www.youtube.com/watch?v=pfQr2uvxNEA

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  1. Manuela Geri scrive:

    Non sono andata apposta sabato sera a vedere questo film, che mi interessa(va) molto, perché speravo che lo avreste messo nelle uscite di marzo! :-) ) (Mi) organizzerò per vederlo con altri eventuali interessati allora!

    • Stefano Chiesa scrive:

      Pero’ in compenso puoi gia’ leggere 2 commenti 2 su un film che immagino pochi vedranno !!!
      Per le scelte dei film normalmente considera che scegliamo sempre pellicole che arrivano in sala a ridosso (1/2 settimane prima) dell’uscita degli Amicinema. E il bel film di Lynne Ramsay e’ uscito il 17 febbraio troppo distante da marzo.

  2. Marta Erba scrive:

    Su questo film ho riflettuto a lungo perché la sensazione netta, quando sono uscita dal cinema, era che “non la contasse giusta”. Ne ho concluso che l’unico suo vero limite sia quello di farci percepire tutta la vicenda dal punto di vista di Eva (una Tilda Swinton superlativa), riducendo Kevin a una macchietta, un essere diabolico e incomprensibile, l’incarnazione del male. Il film, in effetti, è tratto da un libro in cui i fatti sono raccontati attraverso una serie di lettere scritte dalla madre, perciò è proprio quella la visione (alterata, malata, parziale) che la regista sposa, trasformando la storia, a tratti, in una pellicola horror. La vicenda vera (di fantasia, credo, ma molto “realistica”) si riesce comunque a intuire, e spiega il senso di angoscia e di inquietudine che il film trasmette anche se, razionalmente, non sappiamo bene spiegare perché. Invito chi non ha visto il film a non leggere oltre perché svelerò tutta la trama.
    Eva è una donna che resta incinta in un momento in cui non lo vorrebbe proprio, è costretta a rinunciare alla sua carriera e alla sua città e fin dall’inizio vive il feto che prende forma in lei come un corpo estraneo (lo vediamo nella scena della palestra). Quando Kevin nasce, continua a rifiutarlo: la vediamo sempre fredda, assurdamente distaccata, come se il suo ruolo di madre fosse solo un dovere e mai un piacere. Il fatto che il legame con il figlio sia sempre stato un suo problema lo intuiamo nella scena in cui il marito la convince ad affrontarlo con una psicoterapia, che non ci viene mostrata, ma che resta un elemento chiave, come si capisce anche dal titolo del film.
    …E ora parliamo di Kevin.
    Kevin è un neonato rifiutato. L’Infant Research ha ampiamente dimostrato che il neonato è un individuo “competente”, che addirittura fin dalla vita fetale è in grado di percepire e rispondere agli stimoli materni. Possiamo immaginare che Kevin colga dall’inizio questa assenza di amore, e che reagisca a modo suo “vendicandosi”, riversando quello che ci appare come odio verso una madre che, non amandolo, non gli insegna ad amare sua volta e, in definitiva, a vivere (Kevin è profondamente infelice, come dice egli stesso in diversi momenti del film). Il neonato sano impara ad amare la madre, e poi, attraverso il padre, a interagire con il mondo e ad affrontare la vita anche in assenza dei genitori. Kevin invece resta “incastrato” in questo rapporto biunivoco con la madre, che non si risolve mai, anche perché Eva, piena di sensi di colpa, non reagisce mai veramente alle continue provocazioni di Kevin, perpetuando e amplificando questo legame malato (secondo la “teoria del doppio legame” di Gregory Bateson, un legame malato è molto più potente di un legame sano, perché impegna molto di più le due parti fino a riempire completamente la vita: è la stessa ragione per cui vediamo coppie che si rovinano reciprocamente le esistenze eppure non riescono a separasi perché non avrebbero più nulla, e il vuoto li terrorizza più della sofferenza).
    Il meccanismo perverso che lega Eva e Kevin giunge così alle estreme conseguenze. Quando Eva vieta alla figlia (che, a differenza di Kevin, ha amato da subito) di andare a raccogliere le frecce a Kevin è come se comunicasse al figlio “ho paura che la ammazzi”, scatenando in lui una reazione del tipo “Ah, hai paura che la ammazzi? Bene, lo farò, e farò anche di peggio, grandissima stronza”. La strage che poi il ragazzo metterà in atto non ha nessuna ragione se non quella di fare del male alla madre, come si evince chiaramente dalla scena in cui viene catturato. Eva lo sa, è anche lei prigioniera e artefice quanto il figlio di questa relazione malata, al punto che poi farà di tutto per salvarlo e continuerà ad andare a trovarlo in prigione. Fino a che egli finalmente avrà un momento di debolezza, quando, maggiorenne , sta per essere trasferito in un carcere dove sa bene che gli altri detenuti, anche in considerazione della strage di cui si è macchiato, gli faranno veramente di tutto. Lì lo vediamo, per la prima volta (la seconda, se consideriamo la volta in cui da bambino si era ammalato), perdere l’aria di strafottenza e, come un qualsiasi ragazzo impaurito, abbracciare la mamma. E finalmente ci accorgiamo che Kevin non è affatto il Male, il folle psicopatico che il film finora ci aveva fatto credere.

  3. Stefano Chiesa scrive:

    Guardare questo film e’ come avere una pressa che ti schiacchia forte il cuore e ti toglie letteralmente il respiro. Kevin e’ il prodotto di un mondo irrazionale e privo di senso, nel quale i sentimenti umani non hanno nessun valore e le persone sono in un perenne stato di incomunicabilità (tutti i personaggi del film non riescono e non vogliono cercare di capire gli altri).
    Eva porta addosso la colpa (quasi universale) di aver generato il Male e non riesce mai ad avere quella spiegazione del comportamento del figlio (anche contorta e negativa che possa essere) che potrebbe dare senso ed ordine razionale al suo mondo frammentato.
    Quest’anno penso che le ottime interpretazioni femminili si sprechino e Tilda Swinton è pari per me alla Streep e alla Close, interpretando magistralmente Eva, persa per sempre in uno stato continuo di allucinazione, non avendo le forze mentali di poter comprendere l’enormità del male che ha davanti.
    Brava anche la regista, con la scelta di colorare di rosso (nelle luci, negli oggetti, nei liquidi) tutte le scene del film.
    Tranne il finale dove un bianco accecante ci porta alla conclusione della pellicola.

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